Propaganda e realtà dei contratti del pubblico impiego

In genere, quando un governo annuncia la disponibilità a rinnovare i contratti di lavoro per il pubblico impiego, appaiono sulle pagine dei giornali cifre gonfiate, buttate lì, senza uno straccio di analisi. Spesso questi numeri vengono usati con lo scopo di suscitare sdegno nei confronti di questo settore di lavoratori. Questa volta non è molto diverso.

In realtà non si sa ancora molto delle modalità e dei tempi di erogazione degli aumenti previsti per gli stipendi dei dipendenti statali. Le fonti governative parlano di 5 miliardi disponibili per i rinnovi contrattuali, che, ricordiamolo, riguardano il 2022 e il 2024, più altri 2,5 miliardi per il settore sanitario. Ci sarebbe a dicembre, nei cedolini di un milione e mezzo di dipendenti pubblici, una “una tantum” di 800 euro (1200 per gli insegnanti).

Tutto sembra congegnato per dare in pasto alla stampa il “grande aumento” degli stipendi statali. In realtà si tratta dei soliti trucchetti. Si offrono ai lavoratori degli aumenti inferiori all’aumento del costo della vita per tutto il periodo di “vacanza contrattuale”, ma si liquidano tutti insieme, per dare l’impressione di una cifra sostanziosa. Sembra che anche questa volta si voglia percorrere questa strada. Non c’è solo questo: le esigenze contabili hanno spinto il governo ad anticipare all’anno in corso una serie di spese originariamente previste per il 2024. I soldi che verranno corrisposti agli statali a dicembre fanno parte del “Decreto anticipi” varato dal governo, che ha detto di considerarli appunto, almeno in parte, come un anticipo del rinnovo contrattuale nazionale.

Vale la pena di riportare quanto detto in un’intervista dal ministro della pubblica amministrazione Paolo Zangrillo: “Ho detto ai sindacati che se avessimo potuto coprire l’aumento dei prezzi al consumo avremmo dovuto fare una manovra da 31 miliardi” e ha aggiunto che “un conto sono i sogni, un conto la realtà”. E la realtà è quella che l’aumento generale dei prezzi al consumo nel solo 2022 è stato dell’8,1%, il che ha impattato nel bilancio delle famiglie più povere con un incremento del 12,1%. Percentuali ben lontane dall’aumento medio degli stipendi pubblici di 6% dichiarato dallo stesso Zangrillo e che deve coprire tanto il periodo 2022-2023 che il prossimo anno. Per fare un calcolo semplice: uno stipendio di 1500 euro a gennaio 2022, avrebbe dovuto passare a 1660 a dicembre dello stesso anno e questo, a sua volta dovrebbe arrivare a 1755 a fine 2023, prendendo per buono un tasso d’inflazione del 5,7. Nel 2024 si prevede un’inflazione del 3% almeno, quindi l’aumento da aggiungere è 52,65 per uno stipendio totale di 1807. Alla fine del 2024, l’aumento del triennio dovrebbe quindi essere di 307 euro, soltanto per mantenere lo stesso potere d’acquisto di un salario certamente non ricco. Dunque, mantenere almeno il tenore di vita di due anni fa è un “sogno”.

Alla fine, nonostante tutta la propaganda governativa, i fatti ci dicono che i dipendenti dello Stato condividono con quelli del settore privato una progressiva riduzione dei salari reali e che in questo tipo di società i lavoratori devono lottare duramente anche solo per conservare un potere d’acquisto che è già al di sotto delle necessità di una vita dignitosa.

R. Corsini