La Cgil promette scioperi da mesi, la Uil ogni tanto si accoda. La montagna partorisce periodicamente un topolino, tipo dichiarazioni, minacce, proclami, promesse di scioperi che non smuovono minimamente gli equilibri in campo e lasciano il tempo che trovano. Tutti hanno qualcosa da dire, e perfino da imporre sui salari. Tutti tranne i diretti interessati?
E' proprio una forma di ironia della storia, l'ultimo parere del CNEL (Consiglio Nazionale dell'Economia e del Lavoro), incaricato in pieno agosto dal Governo di elaborare un'istruttoria sul lavoro povero e il salario minimo. Eccolo qui, il CNEL redivivo, l'istituzione pubblica che anni fa stava per essere abolita, ritenuta dai più (PD, 5 Stelle, Lega) un costosissimo carrozzone, riesumato per l'occasione e chiamato a esprimere un autorevole giudizio sui salari. Lo presiede Renato Brunetta, famigerato ex ministro che ha imposto a suo tempo il taglio della retribuzione in caso di malattia del pubblico dipendente, e tanto ha fatto per privatizzare i rapporti di pubblico impiego. In quattro e quattr'otto l'organismo ha elaborato la materia, e il 4 ottobre ha consegnato il tutto. Nel documento si sentenzia che "Il mercato del lavoro italiano rispetta pienamente i parametri previsti dalla direttiva europea sul salario minimo adeguato. La contrattazione collettiva, al netto dei comparti del lavoro agricolo e domestico, copre infatti oltre il 95% dei lavoratori del settore privato. Da ciò si evince che un salario minimo orario stabilito per legge non è lo strumento adatto a contrastare il lavoro povero e le basse retribuzioni". Cioè in pratica: c'è una contrattazione collettiva, tanto vi basti. Se poi i salari diminuiscono invece che aumentare, pazienza.
Ad accogliere il provvidenziale parere con un ampio sorriso di sollievo il (non la) presidente del Consiglio Giorgia Meloni, che ha potuto così parare in scioltezza ben due decisioni della Corte di Cassazione che soltanto un paio di giorni prima si era pronunciata sul caso di alcuni lavoratori soci di una cooperativa di lavoro, che pur essendo titolari di un rapporto di lavoro a tempo pieno in un supermercato, guadagnavano un salario inferiore alla soglia di povertà e nettamente più basso dei loro colleghi ai quali era applicato il contratto del commercio. A questi lavoratori era applicato il contratto nazionale di lavoro per i Servizi Fiduciari stipulato dai sindacati confederali; avevano promosso una causa per ottenere l'adeguamento della retribuzione , e il giudice aveva dato loro ragione. A quanto pare non è scontato che i contratti nazionali rispettino costo della vita, soglia di povertà, parametri nazionali e internazionali, e financo l'art. 36 della Costituzione che dovrebbe garantire "un'esistenza libera e dignitosa". Quanto al Governo, si schiera nei fatti contro la classe operaia, ma ha l'esigenza di rastrellarne il consenso: essendo quest'ultimo una merce soggetta a propaganda, ha bisogno di non farsi carico di decisioni impopolari, e allo scopo fanno buon gioco anche i giudizi degli enti inutili, come qualsiasi altro pretesto e/o argomentazione fatta per confondere e aggirare la pubblica opinione.
Nel frattempo, il lavoro dei Sindacati rende questo sforzo abbastanza semplice. La Cgil, dal canto suo, già abbondantemente in ritardo nel proclamare qualsiasi iniziativa seria di lotta, ha convocato a luglio una manifestazione che si è tenuta lo scorso 7 ottobre, come al solito con piattaforma generica, senza rivendicazioni forti né spunti definiti, vale a dire con lo slogan: "La via maestra. Una grande manifestazione nazionale a Roma per il lavoro, contro la precarietà, per la difesa e l'attuazione della Costituzione". Più che sufficiente per portare in piazza di sabato un bel po' di persone, ma quanto a mobilitarle seriamente ce ne corre, e i dirigenti sindacali lo sanno benissimo. Tanto è vero che invece di concentrarsi su semplici obiettivi concreti, come sarebbe in questo momento l'aumento immediato per tutti dei salari mangiati dall'inflazione, agendo sui profitti e sulle rendite, non solo sul cuneo fiscale, decide di allargare il campo alla Costituzione da attuare, a 75 anni dal varo. Più vago è l'obiettivo, meno cose ci stanno dentro e meno si è costretti ad andare fino in fondo: ovvero, si può fare una buona figura, senza impegnarsi su niente.
Ed è su queste basi che la stessa Cgil vorrebbe promuovere uno sciopero generale, preceduto addirittura da una consultazione con voto segreto? Tanto per farsi un'idea, questo il tenore del quesito sulla scheda, cui si può essere favorevoli, contrari o astenuti: "Condivido le proposte rivendicative contenute nel documento predisposto dalla CGIL nazionale, avanzate e da avanzare nei confronti del Governo e del sistema delle imprese, nonché l’utilità di sostenerle con la mobilitazione e, se sarà necessario, con lo sciopero generale". La perla finale "se sarà necessario" riassume il paradosso e conferma la scarsissima propensione alla lotta che esprime la stessa Cgil. Non significa lasciare l'ultima parola ai lavoratori, significa scaricare la propria insipienza sui loro dubbi e le loro insicurezze.
Aemme