L’Anno Secondo del governo Meloni

Il governo Meloni, entrato nel suo secondo anno, si è posto fin da subito stabilmente sul terreno classico del potere in Italia: ricerca di un solido appoggio di massa in primo luogo nella numerosa classe della piccola e media borghesia del commercio, del turismo, delle attività manifatturiere e delle professioni e, contemporaneamente, asservimento più o meno completo alle esigenze del gran capitale.

Durante un comizio elettorale tenuto lo scorso maggio a Catania, la Meloni ha messo in scena un classico del populismo piccolo-borghese:La lotta all’evasione fiscale si fa dove sta davvero l’evasione fiscale: le “big company”, le banche, le frodi sull’Iva, non il piccolo commerciante al quale vai a chiedere il pizzo di Stato”. Si può capire che questa sia musica per le orecchie della massa numerosissima ed eterogenea della piccola borghesia italiana, ma, arrivati al dunque, quando si è trattato di mettere in pratica una qualche forma di giustizia fiscale proprio nei confronti delle banche, le buone intenzioni si sono sciolte come neve al sole.

L’impareggiabile ministro Salvini aveva annunciato ad agosto l’approvazione del decreto che prevedeva un prelievo straordinario sugli “extraprofitti”. È una “misura di equità sociale”, argomentava, e il ricavato sarebbe andato “in aiuto per i mutui delle prime case e per il taglio delle tasse”. Lo Stato, pronosticava Salvini, avrebbe incassato non pochi spiccioli ma “alcuni miliardi”. Se non che, dopo varie ed accese critiche dal fronte non solo delle banche italiane, ma anche da quelle europee, oltre che da parte della Confindustria, il provvedimento, approdato in Commissione al Senato, subiva una radicale trasformazione ad opera della stessa maggioranza che lo aveva partorito.

Grazie a questo emendamento, le banche possono scegliere di non pagare un centesimo della tassa straordinaria (limitata a un anno) e stornare invece dal proprio bilancio un ammontare equivalente a due volte e mezzo il dovuto, per rafforzare il proprio patrimonio, ovvero le riserve. Ma, fanno notare gli esperti della materia, questi accantonamenti sarebbero stati fatti comunque, dati gli enormi utili ottenuti già nel corso dei primi nove mesi del 2023, che fanno segnare un progresso dell’80% sull’anno precedente e che ammonteranno con ogni probabilità a 40 miliardi di cui 16,5 solo nei primi cinque gruppi. Per sicurezza, comunque, è stato posto il tetto dello 0,26% come ammontare massimo della tassa misurato sugli “attivi ponderati”, cioè escludendo i titoli di Stato che ogni banca ha in pancia.

Questo non è che un esempio, perché la politica economica del governo si muove tutta su questa falsariga che copre con le sparate populiste la sostanza di asservimento agli interessi del grande capitale.

Una “solida roccia” per gli Stati Uniti in Europa

Sul piano internazionale, la coalizione di destra al governo consolida anche formalmente il legame di sudditanza nei confronti degli Stati Uniti, con i quali gioca la carta dell’amico più fidato in Europa, ruolo che risulta particolarmente prezioso per Washington dal momento che in Europa orientale aumentano i motivi di fastidio o di aperta ostilità nei confronti del governo ucraino. Il neo-insediato ambasciatore americano in Italia, Jack Markell, commentando la telefonata tra leader, convocata ai primi di ottobre da Biden, alla quale ha partecipato anche la Meloni, ha detto che l’Italia “si è dimostrata ancora una volta un’alleata affidabile. E certamente Giorgia Meloni si è rivelata una solida roccia nel sostegno all’Ucraina”.

Nonostante le pose da “popolana”, la presidente del consiglio ha anche l’appoggio di quel mondo della finanza internazionale che nei suoi comizi pre-elettorali presentava come un grande potere occulto contro cui bisognava battersi, anche in nome della sovranità nazionale. Il capo del più grande conglomerato finanziario del mondo, Larry Fink, intervistato da Milano Finanza si manifesta convinto della forza del governo italiano, il cui insediamento non lo preoccupò per niente, e si dice ottimista sulle sue prospettive. E pensare che la propaganda di Meloni e Salvini raccontavano che gruppi come quello di Fink, il Black Rock , cospiravano per far crollare il loro governo!

I pochi giornali non sottomessi al governo si sono dilettati nel mettere a confronto le promesse e le prese di posizione della coalizione di destra precedenti alle elezioni di settembre 2022 con l’operato concreto del governo. Naturalmente, ne esce fuori un quadro di incoerenza totale. Ma la Meloni ha dimostrato di saper uscire da queste strettoie con i giochi di prestigio delle parole, come l’annunciato “Piano Mattei” e con i grandi provvedimenti a “costo zero”, come l’invenzione di nuovo reati e l’inasprimento delle pene massime per una serie di altri reati.

La coerenza tra quello che si promette all’elettorato e quello che si fa, d’altronde, non è importante per le classi possidenti che detengono il potere economico, cioè il potere reale. L’importante è che la macchina governativa sia messa al servizio dei loro interessi e che, anche se non è in grado di rendere efficienti gli apparati burocratici, sia almeno in grado di neutralizzarli quando costituiscono un ostacolo per l’accumulazione dei profitti.

Un’accozzaglia di individui mediocri

Agli occhi della grande borghesia italiana, il governo Meloni rimarrà un buon punto di appoggio a tre condizioni: il mantenimento di un legame di ferro con gli Stati Uniti, una decisa politica anti-salariale e anti-operaia in generale e l’adozione di misure che consentano la distribuzione delle risorse del PNRR alle più grandi imprese italiane, senza tuttavia abbandonare le tradizionali molteplici agevolazioni e gli aiuti finanziari che lo Stato nazionale ha sempre fornito all’imprenditoria.

Garantito questo, il governo e i capi dei partiti che lo sostengono possono rimanere quell’assortimento di personaggi mediocri che sono. Con ministri e sottosegretari sotto indagine come la ministra al turismo Santanchè (bancarotta, truffa ai danni dello Stato e false comunicazioni sociali), il sottosegretario alla cultura Vittorio Sgarbi (evasione fiscale, sottrazione fraudolenta al pagamento delle imposte), il sottosegretario alla Giustizia, Andrea Del Mastro (rivelazione di segreti d’ufficio), fino al caso più recente di Maurizio Gasparri, senatore, ora capogruppo di Forza Italia al Senato, presidente di una società di “cybersecurity”, come denunciato dal giornalista televisivo Sigfrido Ranucci, senza che mai avesse dichiarato questo incarico, evidentemente in conflitto di interessi con tutte le scelte di appalti che un governo deve fare in questo ambito.

Viene istintivo accostare i componenti del governo e gli esponenti più in vista della maggioranza a quelle accozzaglie di balordi e magliari che si barcamenavano tra “furbate” e truffe, legati ta loro da sodalizi e parentele, come se ne vedevano nei vecchi film neorealisti. Una banda, ben inteso, che si distingue da quelle che l’hanno preceduta non perché più disonesta ma perché più maldestra.

Queste qualità, del resto, rispecchiano le caratteristiche di gran parte della borghesia italiana e quindi, comprensibilmente, suscitano in lei più benevolenza che riprovazione.

Una testimonianza insospettabile di queste caratteristiche, è quella di Guido Carli, che nel corso della sua vita fu banchiere, ministro democristiano e presidente della Confindustria e che nel 1977 disse, in una lunga intervista, poi diventata un libro: “L’identità tra un certo gruppo economicamente individuabile e la classe di governo ci fu soltanto per un breve periodo iniziale, dal 1861 al 1876, cioè alla caduta della Destra. In quel periodo la maggioranza parlamentare, il governo, l’amministrazione, furono largamente formati dal gruppo dei proprietari fondiari...essi adempirono scrupolosamente i loro doveri verso lo Stato: per esempio il loro dovere fiscale, che è l’esempio massimo per giudicare se una classe dirigente ha o non ha spirito civico. Come dire che, da allora in poi, la grande borghesia, trasformatasi da proprietaria fondiaria in imprenditrice industriale e finanziaria, non “adempie” più “scrupolosamente” al suo “dovere fiscale”, pur rimanendo, come e più di centocinquanta anni fa, “classe dirigente”.

R. Corsini