Perché si continua a morire di lavoro?

Due operai morti nell’esplosione al porto di Livorno

Perché si continua a morire di lavoro? La risposta a questa domanda è semplice e raggelante. Si continua a morire perché ogni modifica all’organizzazione del lavoro e ogni investimento che abbiano come criterio la salvaguardia della vita, dell’incolumità e della salute dei lavoratori rappresentano un costo. È una questione di soldi. Una spesa che nessun imprenditore vuole accollarsi se non vi è costretto.

Si dirà che il caso dei due operai uccisi ieri dall’esplosione di un silos ai depositi costieri Neri è un caso a sé. Certo, ogni caso è un caso a sé. I Rappresentanti dei lavoratori per la sicurezza (RLS) per primi dovranno esigere tutti gli elementi concreti che aiutino a evitare in futuro incidenti del genere. Dovranno vincere tutte le resistenze che le direzioni aziendali sono solite opporre a questo genere di indagini quando sono condotte dai rappresentanti dei lavoratori.

Ma per quanto riguarda l’insieme del mondo del lavoro, che oggi piange i due compagni morti, la questione del come imporre condizioni di lavoro più sicure si pone nei suoi aspetti più generali. La conferma viene dalle stesse cronache di ieri, a Massa altri operai hanno rischiato di morire in un’esplosione avvenuta in una fabbrica che lavora per l’ILVA. Oggi il Tirreno, riportando i dati dell’INAIL, scrive che solo in Toscana ci sono stati 72 morti sul lavoro nel 2017 e altrettanti l’anno prima.

Come succede sempre in questi casi, sembra che tutti: imprenditori, istituzioni, partiti, siano al fianco dei lavoratori. Tutti fanno a gara a indignarsi, si dicono addolorati o addirittura “rabbiosi”…fino al prossimo infortunio mortale.

Da questa gente non ci si può aspettare niente di buono. Per il semplice motivo che il numero enorme di infortuni e di morti sul lavoro che accompagnano la “ripresa” sono il risultato di un sistema economico basato sul profitto che nessun politico di professione vuole mettere davvero in discussione.

Diminuire i rischi e quindi i morti sul lavoro non è tanto questione di leggi. È questione in primo luogo di approntare un sistema di costrizioni che faccia rispettare, e non occasionalmente, queste leggi. È questione di attività ispettiva e sanzionatoria non burocratica ma efficiente ed efficace. Ma è la debolezza complessiva della classe operaia e dei lavoratori in generale che le impedisce di pretendere tutto questo. La condizione generale dei lavoratori, cioè il nodo del come vengono trattati il lavoro e i lavoratori è quindi la prima questione da affrontare. Da questa dipendono tutte le altre.

I lavoratori più consapevoli devono trasformare lo sdegno, il dolore e la rabbia in voglia di impegnarsi in prima persona per rigenerare il movimento operaio. Sarà il modo migliore di rendere omaggio ai nostri due fratelli morti ieri e a tutti quelli che li hanno preceduti.

L’Internazionale, 29 marzo 2018