DOBBIAMO VIVERE, NON SOPRAVVIVERE

Basterebbe l'esperienza degli stagisti, al lavoro come i dipendenti ma pagati meno di un terzo, o quella dei braccianti agricoli, nei campi sotto il sole per tre euro l'ora, o degli assunti come apprendisti per pagarli meno, per fare giustizia dello stanco dibattito sul salario minimo

 

Nella calura ferragostana, c'è anche chi si è preso la briga di intervistare l'ex primo ministro, ex leader della coalizione dell'Ulivo Romano Prodi, durante una corsetta defatigante su una stradella di campagna. Il Prodi è stato preso in contropiede da una domanda circa un argomento fra i più gettonati del mese, il salario minimo a 9 euro (lordi) l'ora, e la relativa campagna delle opposizioni per la sua applicazione, con tanto di raccolta firme per una petizione popolare a favore della sua introduzione per legge. Forse preso un po' alla sprovvista, Prodi si è lasciato sfuggire quella che a tutti dovrebbe sembrare una elementare ovvietà, cioè che 9 euro lordi l'ora fanno 6 euro netti, e quindi appunto, cosa c'è da aggiungere all'ovvia conclusione del nostro, che per meno si muore di fame? Il fatto è che lo sanno tutti benissimo, sia i politici del governo, sia quelli dell'opposizione, come pure politologi, editorialisti e tuttologi vari, che ogni giorno sprecano parole sull'argomento. E ognuna di esse pare un diversivo per spostare l'attenzione sul dito, perché tutti ignorino la luna.

Il salario minimo esiste per legge nella grande maggioranza dei paesi industrializzati: in tutti i Paesi dell'OCSE (Organizzazione per la Cooperazione e lo Sviluppo Economico), e nell'Unione Europea in 22 Paesi su 27. In Francia esiste da oltre 70 anni, da più di 20 in Gran Bretagna, e una decina di anni fa è stato approvato anche in Germania; in Italia era dal 2018 nei programmi di Governo, per quanto nessuno dei Governi nel frattempo succedutisi abbia mai accennato alla sua realizzazione. Sorge quindi il dubbio spontaneo che le attuali opposizioni ne facciano in primo luogo uno strumento di battaglia politica, da prendere o mollare a seconda delle convenienze. Il dubbio è legittimo, perché ad accendere la disputa non sono state le organizzazioni dei lavoratori, e non sono loro i protagonisti e i gestori di un dibattito che riguarda prima di tutto loro, ma qualcun altro che per loro parla (o sparla, a seconda dei casi). Certo, qualcuno si è messo a disposizione per raccogliere le firme e molti, moltissimi hanno firmato la petizione, ma si sa che una firma costa ben poco sforzo; un conto è firmare un foglio, un conto è organizzare lotte e scioperi generalizzati per ottenere dei risultati. E quindi intanto è bene aver presente che un obiettivo, per diventare un progresso concreto, deve avere radici ben salde ed esprimere una forza effettiva. Se così non è, se è una concessione fragile, è probabile abbia vita breve o poco consistente, come potrebbe addirittura ritorcersi contro: potrebbe anche diventare un pretesto per abbassare i minimi contrattuali nelle categorie che attualmente hanno minimi più alti. Qualsiasi conquista nel mondo del lavoro è tale se può contare su una forza organizzata; anche lo Statuto dei Lavoratori fu adottato per legge nel 1970, ma c'erano tutti i lavoratori in piazza a garantirne l'esigibilità. Altrimenti, le conquiste ottenute si perdono per strada.

D'altra parte, se tutti sanno che 9 euro lordi l'ora garantirebbero giusto il minimo, anche presi come cifra assoluta, il fatto è che nemmeno 20 euro sarebbero la garanzia di non fare la fame, senza un minimo di ore lavorate. Perché a partire dalla precarizzazione del lavoro, da quando è stato frammentato in una moltitudine di tipologie contrattuali, ridotto a una miriade di brevi periodi, intervallati da interminabili periodi di disoccupazione, ben pochi possono dire di lavorare a tempo pieno e indeterminato e quindi di poter contare su un salario sufficiente. Meglio lavorare per 9 euro l'ora, anziché per 5 euro, certo. Ma se si mettono insieme a fatica pochi mesi di lavoro l'anno, quello che i media chiamano "lavoro povero" non diventerà ricco per una legge sulla retribuzione oraria minima. Ancora meno ricco oggi che è stato definitivamente affossato il tentativo di tutela sociale e sostegno al reddito che era il salario minimo, lasciando gli "occupabili" soli e maggiormente ricattabili da qualunque padrone, ora che non c'è alternativa all'accettare qualsiasi condizione di sfruttamento.

Ma a un governo "politico", non tecnico, a una destra che fa la destra nel modo più tracotante e aggressivo, che ha da replicare il maggior sindacato italiano, come la fronteggia? Scrive una lettera. Sì, una lettera: il segretario Cgil Landini ha scritto una lettera al presidente del Consiglio (alla Meloni piace essere "il", non "la"), nella quale non minaccia sfracelli, ma mitemente elenca le priorità del sindacato: "È il momento di affermare la stabilità nei rapporti di lavoro e la parità di diritti tra tutte le persone che per vivere devono lavorare, ciò a valere anche nel sistema del lavoro in appalto" (sì appunto, per chiedere con il cappello in mano è proprio il momento più opportuno...) e inoltre "una quota salariale oraria minima valida per tutti i contratti nazionali affinché nessuna persona che lavora possa essere retribuita con una paga oraria inferiore". A chiedere i famosi 9 euro si sarà perfino vergognato.

Aemme