Cinque morti si aggiungono alla lunga lista degli operai uccisi dallo sfruttamento

A Firenze, nel cantiere dove si costruisce un nuovo magazzino per la società Esselunga, il crollo di una grande trave in cemento armato ha causato la morte di cinque operai lo scorso 16 febbraio. Sul fatto sono già state scritte molte cose e si è ricordato come quattro delle cinque vittime siano lavoratori immigrati. La stampa di destra ha approfittato di questa circostanza per un vergognoso capovolgimento delle responsabilità: la “Verità” scrive che “le morti sul lavoro sono colpa dell’immigrazione clandestina”. Ma la verità è che le condizioni in cui si lavora nell’edilizia, come in molti altri settori industriali, dipendono dagli imprenditori, che approfittano di qualsiasi circostanza che consenta loro di risparmiare sulla pelle degli operai. Ma gli imprenditori, si sa, “creano lavoro” e quindi sono intoccabili. Tanto intoccabili che, secondo i dati forniti dalla ministra del Lavoro Calderone, il 75% dei cantieri edili ispezionati dai funzionari dell’Ispettorato del lavoro sono risultati irregolari.

Il celebrato “modello italiano” uccide un operaio ogni otto ore e mezzo. Per vedere quanto poco sia presente la “cultura della sicurezza” basta farsi un giro in qualsiasi città e fermarsi qualche minuto a osservare un cantiere edile o stradale. Operai senza casco o senza cintura di sicurezza, uomini che lavorano sotto carichi sospesi, sono la norma. Spesso la pericolosità si estende al di fuori dell’ambito di un cantiere: siamo ormai abituati a passare vicino a dove si svolgono lavori di edilizia, in strada, ingegnandosi per capire dove passare senza rischi. Le segnaletiche di protezione o mancano o sono carenti, così come l’approntamento di passaggi pedonali provvisori quando i lavori occupano tutto un marciapiede. La sicurezza è talmente trascurata che è quasi considerata un lusso, una “fisima” di gente che ha voglia di far perdere tempo e quattrini ai laboriosi imprenditori.

Nel caso di Firenze è stato detto e scritto che nel cantiere operano 61 ditte. Una babele che certo rende più difficile qualsiasi coordinamento. Giusto quindi, come hanno ribadito i sindacati nel corso dello sciopero e del presidio di mercoledì 21 a Firenze, rivendicare il divieto dei subappalti “a cascata”, grazie ai quali, tra l’altro, il costo del lavoro è sempre più basso da una ditta a un’altra.

Si sono anche levate le solite voci che chiedono nuove norme e nuove leggi sulla sicurezza. Ma non è questo il problema. Esiste un Testo unico sulla sicurezza che se osservato renderebbe impossibile stragi come quella del 16 febbraio. Ma la pressione per terminare il lavoro in tempo ed evitare le penali, induce i padroni e i padroncini a infischiarsene di qualsiasi norma. Anche il fatto che l’impresa committente, che in questo caso è la Villata SpA, al 100% proprietà della stessa Esselunga, non debba essere considerata responsabile dell’attività delle ditte in subappalto è una falsità. Una sentenza della Cassazione, la 14012/2015, ha tolto ogni dubbio in proposito, scrivendo, tra l’altro che “il committente deve verificare concretamente che i coordinatori per la progettazione e per l’esecuzione dell’opera rispettino le norme”.

La sicurezza dei lavoratori dipende principalmente dalla loro forza nei confronti dei datori di lavoro. È solo questa forza che può imporre un limite all’utilizzo dei subappalti. È solo questa che può imporre che a uguale lavoro ci sia uguale trattamento salariale e che si metta un argine al dilagare dei contratti precari e al lavoro illegale. Quando l’operaio si recherà al lavoro con la sicurezza che riceverà il salario dignitoso che gli è dovuto e che nessun padrone o caporale potrà licenziarlo a suo piacimento, avrà anche il coraggio di opporsi a qualsiasi operazione che esponga al pericolo lui o i suoi compagni.

Corrispondenza Toscana