Antisemitismo: chi ha le carte in regola?

I marxisti, i comunisti autentici, sono da sempre i più risoluti nemici dell’antisemitismo, come di qualsiasi teoria o corrente politica razzista, nazionalista o fondamentalista religiosa. Non è un caso che i campi di concentramento nazisti furono “collaudati” per primi proprio dai comunisti tedeschi. È una precisazione necessaria dal momento che, tra le tante scempiaggini che si scrivono in questi giorni, c’è anche l’attribuzione della qualifica di antisemita al movimento comunista.

In effetti, specialmente da quando è cominciato il conflitto tra Israele e Hamas, i governi europei sono impegnati in una vigorosa lotta all’antisemitismo. Si cercano tracce di antisemitismo ovunque: tra le macerie di Gaza e tra i suoi 30mila morti, nei cortei filo-palestinesi che continuano a sfilare nelle varie piazze europee, nelle dichiarazioni degli esponenti politici più o meno collocati a sinistra. Si ricorda la “lezione” degli orrori dei lager nazisti, si ammonisce: “mai più Auschwitz!” e, nello stesso tempo, si appoggia, più o meno esplicitamente, lo sterminio della popolazione palestinese a Gaza.

Si sa che l’aver trasformato lo Stato israeliano in un regime confessionale ha portato all’identificazione di quello stesso Stato con la popolazione ebraica. Nel corso degli anni, si è quindi consolidata l’impostura per cui attaccare o semplicemente criticare il governo di Israele sarebbe un atto di antisemitismo.

Il Medio Oriente ha negli Stati Uniti il pilastro di un ordine che, sul terreno, si basa in gran parte sulla forza armata israeliana. Per questo Washington deve far vista di condividere la propaganda vittimista del governo Netanyahu, scatenatasi dopo le stragi del 7 ottobre ad opera di Hamas. Una identità di vedute, che, soprattutto ad uso dell’opinione pubblica nazionale, si è andata annacquando con il progressivo e abnorme numero dei morti palestinesi. Gli alleati europei degli Stati Uniti, Italia in testa, seguono a ruota.

Nella mistificazione corrente che si fa, evocando l’antisemitismo nella politica internazionale, lo si attribuisce volentieri alle tradizioni dei regimi islamici e alle correnti politiche islamiste. È come guardare la pagliuzza nell’occhio altrui senza vedere la trave nel proprio.

Anche in occasione del Giorno della memoria, si è persa per strada la verità storica e le vere lezioni che ne discendono.

In primo luogo: lo sterminio degli ebrei fu pianificato e messo in pratica dall’imperialismo tedesco, cioè da uno Stato europeo. Uno Stato capitalista che utilizzò come schiavi gli ebrei, gli slavi, i prigionieri politici, ecc. prima di ucciderli nelle camere a gas quando non avevano più energie vitali da offrire alla macchina del profitto. Le industrie per cui lavoravano fino alla morte erano, ad esempio, la IG-Farben, la Thyssen o la Siemens, nomi tuttora ben conosciuti, imprese che si sono felicemente traghettate, guadagnandoci sempre, dal “totalitarismo” hitleriano alla “democrazia”. In totale circa 2500 aziende tedesche si servirono del lavoro degli schiavi, prevalentemente ebrei ma anche polacchi, russi, ucraini.

In secondo luogo, lo sterminio degli ebrei si appoggiò su un sentimento antisemita ampiamente diffuso, di cui le “radici cristiane dell’Europa” furono il terreno principale. Nel corso dei secoli, quasi tutte le persecuzioni, quasi tutti gli assassinii di massa a danno degli ebrei, furono opera di Stati europei: dal grande impero zarista, sotto la cui cristianissima protezione si organizzavano i pogrom, cioè i linciaggi contro gli ebrei, fino al piccolo Stato pontificio, nel quale gli ebrei erano sottoposti ad ogni sorta di vessazione e mortificazione personale.

In Italia, il regime fascista collaborò attivamente alla deportazione, quindi allo sterminio, degli ebrei. La Repubblica di Salò fu responsabile dei maggiori crimini contro la popolazione ebraica. Ma i fondatori del Movimento Sociale Italiano nel dopoguerra, la cui fiamma tricolore campeggia ancora nel simbolo del partito della Meloni, erano tutti ex esponenti repubblichini. Giorgio Almirante, segretario del MSI, personaggio che l’attuale presidente del consiglio reputa un “maestro” e un “grande patriota”, scrisse nel 1942: “Non c’è che un attestato col quale si possa imporre l’altolà al meticciato e all’ebraismo: l’attestato del sangue”. Parole scritte sulle pagine della rivista “Difesa della razza” di cui Almirante fu co-redattore e i cui collaboratori passarono indenni dall’incitamento alla persecuzione degli ebrei a una tranquilla vita da professionisti negli anni seguiti alla fine della guerra. Tanto per fare dei nomi: Marcello Ricci, professore di zoologia all’università di Roma, Artuto Donaggio, direttore della clinica universitaria di neurologia di Bologna o Franco Savorgnan, che conservò la cattedra di Statistica e demografia fino al 1954, andando in pensione col titolo di Professore emerito.

Ora gli eredi del MSI sono al governo e vorrebbero insegnare a tutti il valore della lotta contro l’antisemitismo, insieme ai rappresentanti di quello stesso capitalismo che uccideva, con il gas o col lavoro forzato, gli uomini, le donne e i bambini ebrei.

Lasciamo che i politicanti e gli “uomini di cultura” si balocchino con i concetti a loro più cari: la crudeltà umana, il totalitarismo, l’intolleranza spacciando tutto questo come lezione che ci viene dallo sterminio degli ebrei. La realtà, per loro è inaccettabile, è che il capitalismo, cioè il sistema sociale di cui loro si fanno paladini, è disposto ad utilizzare tutti i pregiudizi più reazionari e a mettere in atto tutte le crudeltà più disumane, pur di difendere i propri profitti. La storia dei lager nazisti è parte integrante della storia del capitalismo europeo. Troppo comodo attribuirla a un generico “totalitarismo”. Perché la macchina del profitto continui a girare, in determinate condizioni, si richiede un’adesione di massa al regime che tutela e sorveglia questa macchina. L’antisemitismo,che Marx chiamava “il socialismo degli imbecilli”, servì a questo, a convogliare la disperazione sociale delle masse verso un “nemico” che la sottocultura nazionale era già abituata a considerare tale.

La classe dominante può servirsi indifferentemente, secondo le circostanze, dell’antisemitismo e della “lotta all’antisemitismo”. L’importante è che, di fronte alle guerre, alla disoccupazione, alla mancanza di prospettive, la classe lavoratrice se la prenda con qualcun altro che non sia il capitalismo e i governanti di casa propria.

R. Corsini