150 anni fa, il 18 marzo 1871, iniziava la Comune di Parigi. Per due mesi e mezzo, per la prima volta nella storia, i lavoratori esercitavano il potere in prima persona sulla scala di una città di due milioni di abitanti. Annegata nel sangue nel giro di poche settimane, la Comune rimase la prima esperienza e l’esempio di quello che poteva essere il potere della classe operaia.
Dal 1851, la repubblica, che aveva massacrato i lavoratori insorti, nel giugno 1848, lasciò il posto al Secondo Impero di Napoleone III. Questo regime poliziesco aveva permesso un arricchimento spudorato e scellerato delle classi possidenti, in contrasto con la miseria delle classi lavoratrici.
Di fronte alle agitazioni operaie della fine degli anni 1860, Napoleone III pensava di scongiurare il pericolo interno dichiarando la guerra contro la Prussia, il 19 luglio 1870. La guerra non fece altro che precipitare la sua caduta: fatto prigioniero, l’imperatore si arrese a Sedan il 2 settembre. Due giorni dopo, il 4 settembre, il regime crollò e i lavoratori, a Parigi come in altre città, imposero la proclamazione della repubblica. Nel bel mezzo della guerra, mentre l’esercito prussiano si avvicinava alle porte di Parigi, lo scontro di classe venne alla ribalta.
Gli operai erano la forza attiva ma, come nel febbraio 1848, alcuni politici senza vergogna, monarchici o repubblicani come Favre e Ferry, s’impossessarono del potere politico per salvare la borghesia. Fu proclamato un governo di difesa nazionale, guidato dal generale Trochu. In realtà, la sua priorità era affrontare il pericolo rappresentato dalla classe operaia e dalle sue aspirazioni rivoluzionarie, rafforzate dalle esperienze del 1830 e del 1848.
Lungi dall’accettare l’unità nazionale e dall’affidarsi a un governo borghese da cui, come mostrava l’esperienza, non si potevano aspettare che scariche di fucile, i proletari parigini si armarono massicciamente e si organizzarono, in particolare attraverso la Guardia Nazionale. L’organico di questa milizia, di solito di composizione prevalentemente borghese, aumentò tra agosto e settembre da 24.000 a 300.000 combattenti, venuti principalmente dai quartieri popolari. A parte il generale in capo, nominato dal governo, gli ufficiali e i sottufficiali erano eletti dalle guardie nazionali. Così furono eletti molti rivoluzionari come Gustave Flourens, Adolphe Assi e Eugène Varlin.
Temendo soprattutto questa classe operaia in armi, il governo provvisorio sabotò di fatto la difesa di Parigi assediata dai prussiani. Di fronte alla crescente minaccia di masse mobilitate e determinate, che si manifestava anche nelle città di provincia, voleva in primo luogo salvare il proprio potere e quello della borghesia. Durante i sei mesi tra il 4 settembre 1870 e il 18 marzo 1871 il divario tra il governo e il proletariato parigino non fece che crescere. Già il 31 ottobre 1870, all’annuncio di un possibile armistizio, una grande folla gridò “Abbasso Trochu” e le guardie nazionali sequestrarono temporaneamente il governo, alcuni chiesero un governo Flourens-Blanqui.
Nel gennaio 1871, secondo Lissagaray, testimone rivoluzionario e autore di una storia della Comune, “la periferia (i quartieri popolari) chiamava gli uomini della Difesa la banda di Giuda”. Il 22 gennaio, il governo represse la folla venuta a manifestare all’Hôtel de Ville (la sede del municipio), dopo gli annunci di capitolazione. Capitolazione che fu confermata il 28, decuplicando la rabbia dei proletari parigini. Per loro era chiaro che il governo stava cercando di liberarsi del pericolo che rappresentavano, semplicemente consegnandoli all’esercito prussiano.
Alla fine di febbraio, imponenti processioni di battaglioni e soldati della Guardia Nazionale, con tamburi e bandiere in testa, marciarono verso la Bastiglia. Le truppe inviate per arrestare i manifestanti fraternizzarono con loro. Fu istituito un comitato centrale della Guardia Nazionale. Era composto da delegati, eletti senza distinzione di rango e revocabili in qualsiasi momento, e giocò un ruolo importante nella preparazione del 18 marzo. Quando i prussiani entrarono a Parigi, questo comitato fece portare i cannoni e le mitragliatrici nei quartieri popolari di Montmartre, Belleville e La Villette. Questi cannoni erano stati finanziati da una sottoscrizione popolare ed erano di proprietà della Guardia Nazionale.
Il passaggio dei prussiani dal 1° al 3 marzo in una città deserta e ostile, e i cui quartieri popolari erano protetti da barricate, non indebolì le forze operaie. L’esercito prussiano, anche se vittorioso, non poteva risolvere il problema politico che aveva la borghesia francese. Thiers, ex ministro del re Luigi Filippo, nominato capo dell’esecutivo dalla nuova Assemblea Nazionale reazionaria eletta l’8 febbraio e riunita a Bordeaux, preparò la prova di forza.
Moltiplicando le sue provocazioni, Thiers tolse a Parigi il suo titolo di capitale del paese e trasferì l’Assemblea Nazionale a Versailles, la città reale. Decise di non pagare più le guardie nazionali, costringendole a mendicare l’elemosina del governo. Decretò che i pagamenti commerciali, che erano stati sospesi dall’inizio della guerra, sarebbero stati d’ora in poi dovuti. Allo stesso modo, decise di fare pagare gli affitti arretrati. Trecentomila lavoratori, piccoli imprenditori e fabbricanti furono così gettati in balia del padrone o costretti al fallimento. Il risultato di tutte queste misure fu però di far solidarizzare più strettamente la piccola borghesia con il proletariato parigino.
Thiers mise al bando sei giornali repubblicani, fece condannare a morte in contumacia Flourens e Blanqui e minacciò di arrestare il comitato centrale della Guardia Nazionale. Tuttavia, non aveva alcun potere reale. I suoi 8.000 soldati, riportati dalla Loira e dal Nord, vagavano per le strade, mal nutriti, forniti di zuppa e coperte dalle donne parigine. Questo non impedì a Thiers, indifferente agli avvertimenti e pieno di disprezzo per i combattenti operai, di ordinare il 18 marzo la requisizione dei 150 cannoni della Guardia Nazionale.
Il 18 marzo, alle tre del mattino, 15.000 soldati furono così inviati nei quartieri popolari di Parigi. 4.000 di loro salirono a Montmartre. Alle cinque del mattino cominciarono ad evacuare i cannoni, ma le carrette per portarli via non arrivavano, mentre la popolazione del quartiere si svegliava. Lissagaray descrive i fatti: “Le donne del 18 marzo non aspettano i loro uomini. Circondano le mitragliatrici, se la prendono con i capi. È indegno! Cosa stai facendo qui?”. Quando il generale Lecomte diede l’ordine di sparare sulla folla, i suoi uomini rifiutarono di ubbidire. Nel pomeriggio, fu giustiziato dai suoi stessi soldati, così come un altro generale, Clément Thomas.
Ovunque, la scena si ripeté: alle Buttes-Chaumont, a Belleville, al Luxembourg. Nel pomeriggio, gli insorti occuparono senza resistenza i luoghi di potere: le caserme, il Palazzo di Città, la prefettura di polizia, la tipografia nazionale, i ministeri e la maggior parte dei municipi di settore. Dalla parte della borghesia, era il panico. Thiers, che aveva già fatto affiggere dei manifesti per annunciare il successo del suo colpo di forza, fuggì da una scala nascosta, e Jules Ferry dalla finestra. Nella notte, gli ultimi reggimenti fuggirono attraverso le porte meridionali della capitale verso Versailles.
Parigi era ormai in mano agli insorti. La bandiera rossa sventolava sul Palazzo di Città. La Gazzetta ufficiale annunciò: “I proletari della capitale, di fronte ai fallimenti e ai tradimenti delle classi dirigenti, hanno capito che era ora di salvare la situazione prendendo in mano la direzione degli affari pubblici”. Iniziava la prima esperienza di potere operaio, la Comune di Parigi.
Tradotto da Lutte ouvrière