Poco più di due milioni di palestinesi vivono stipati nella Striscia di Gaza, un'area grande appena due volte come il comune di Milano, racchiusa tra il mare e una barriera di massima sicurezza con torri di sorveglianza.
La maggior parte di loro sono discendenti dei rifugiati palestinesi fuggiti durante la guerra del 1948, che ha dato vita allo Stato di Israele. La popolazione della Striscia di Gaza, territorio occupato tra il 1967 e il 2005, ha visto la fine dell'occupazione israeliana per poi essere sottoposta a un triplice blocco terrestre, marittimo e aereo.
Dal 2007, quando Hamas è salito al potere nel territorio dopo aver vinto le elezioni locali, un blocco è stato imposto alla popolazione sia da Israele che dall'Egitto. Più della metà degli abitanti vive al di sotto della soglia di povertà, la disoccupazione supera il 50% e colpisce soprattutto i giovani. Spazio, acqua, elettricità, lavoro, sanità e scuole scarseggiano a Gaza. Gli agricoltori e i pescatori sono stati privati dei loro mezzi di sussistenza dal blocco e solo 17.000 abitanti hanno ottenuto un permesso di lavoro in Israele, per cui ogni giorno devono aspettare ore faticose e umilianti per passare i posti di blocco.
La situazione degli abitanti di Gaza, come quella di altri palestinesi il cui diritto a vivere del loro lavoro sulla propria terra è stato negato per oltre cinquant'anni, ha dato origine a molte rivolte, soprattutto tra i giovani. La politica aggressiva dei dirigenti israeliani, la situazione di apartheid che impongono alla Cisgiordania, a Gerusalemme Est, a Gaza e alla stessa popolazione araba di Israele, la colonizzazione che ha spezzato la continuità del territorio, rendendo illusoria anche l'idea di uno Stato palestinese, non possono che alimentare questa rivolta. L'unica prospettiva offerta a queste rivolte, il nazionalismo finalizzato alla creazione di uno Stato palestinese, si è rivelata un vicolo cieco.
Da una promessa all'altra, la prospettiva di una tale soluzione politica si è allontanata. Dopo gli accordi di Oslo, firmati tra il 1993 e il 1995, è svanito il miraggio del "processo di pace" avviato sotto l'egida del Partito Laburista Israeliano di Yitzak Rabin e dell'OLP (Organizzazione per la Liberazione della Palestina) di Yasser Arafat. Il mantenimento di una situazione di oppressione ha portato, da un lato, all'accelerazione dell'evoluzione a destra del regime israeliano e, dall'altro, al discredito dei leader politici palestinesi, ridotti al ruolo di amministratori e poliziotti per circa cinque milioni di abitanti dei territori occupati.
La continua situazione di guerra mantenuta dai leader israeliani è stata il terreno fertile per lo sviluppo, all'interno della popolazione palestinese, di correnti nazionaliste e persino fondamentaliste islamiche più radicali che sfidano l'OLP, tra cui Hamas. Inizialmente incoraggiato dal governo israeliano per contrastare l'influenza dell'OLP, Hamas si è poi rafforzato e radicalizzato con il fallimento della politica dell'OLP, di cui le stesse scelte dei dirigenti israeliani, da Sharon a Netanyahu, sono responsabili.
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