Anche se sono passati più di due mesi al momento che scriviamo questa corrispondenza, vale la pena di parlare della precettazione dello sciopero ferroviario del 13 e 14 luglio, inizialmente proclamato per 24 ore e successivamente limitato d’imperio a 12 ore.
Naturalmente, la cosa più importante da denunciare è l’iniziativa di “precettare” lo sciopero da parte del ministro delle infrastrutture Salvini. La libertà di sciopero dei ferrovieri e degli altri addetti al trasporto è continuamente limitata e messa in discussione da anni.
Ma qui ci vogliamo soffermare sugli effetti paradossali che seguono a provvedimenti del genere. Se infatti lo sciopero, per quanto annunciato con abbondante anticipo, genera indubbiamente un disagio per i viaggiatori, l’annuncio trionfale della precettazione dei ferrovieri da parte di Salvini non ha fatto meno danni. “Lasciare a piedi un milione di italiani, di pendolari, con temperature di 35 gradi era impensabile”, questa la dichiarazione eroica del ministro leghista, riportata dai giornali che, prendendo per buone le sue parole, annunciavano che dalle 15,00 sarebbe ripresa normalmente la circolazione dei treni. Salvini, al quale è stata negato il posto di ministro dell’interno a cui la sua anima di poliziotto aspirava, cerca di fare lo sbirro negli ambiti di sua competenza, non tralasciando di presentarsi come il difensore del “popolo”, il garante degli “italiani”.
Ma la circolazione ferroviaria, dovrebbero spiegarglielo, è un tantino più complicata di come si immagina lui. Per ogni sciopero annunciato, le aziende ferroviarie predispongono un piano di turnazione del materiale ferroviario e del personale. E questo piano, predisposto per le 24 ore di sciopero previste, non può essere cancellato d’improvviso un giorno prima. Fatto sta, senza addentrarci troppo in questioni tecniche, che alle 15,00 del 13 luglio non circolava nessun treno e i viaggiatori che avevano preso sul serio le assicurazioni del ministro-trombone, sono rimasti parecchie ore “con temperature di 35 gradi” ad aspettare un treno. A Pisa, il primo treno per Firenze è partito alle 18,00, tra gli applausi derisori di una folla che assiepava il marciapiede del binario 8.
In tutto questo c’è, come si dice, un “danno d’immagine” per Trenitalia e per le altre aziende ferroviarie. Ma c’è anche un danno economico perché i capitreno e i macchinisti che si sono presentati al lavoro in obbedienza alla precettazione, hanno trovato in moltissimi casi il proprio treno soppresso e quindi non hanno effettuato nessun servizio o un servizio marginale rispetto al turno abituale. Ma la loro giornata, non essendo scioperanti, ha dovuto comunque essere pagata.
In conclusione, l’ennesimo episodio della guerra contro i ferrovieri si è conclusa con una precettazione che probabilmente ha fatto più danni economici e ha procurato più disagi dello sciopero stesso. Ma non dubitiamo che il personaggio Salvini saprà raccontare questa vicenda come un successo della sua politica attenta agli “interessi nazionali”.
Corrispondenza ferrovieri Pisa