In Ucraina freddo e neve sono arrivati e dieci milioni di persone, secondo il presidente Zelensky, sono senza elettricità a causa dei massicci attacchi russi agli impianti energetici. Dall'altra parte, le truppe russe, costrette ad abbandonare Kherson, si sono ridispiegate verso il 20% del territorio che detengono nel sud e nell'est del Paese.
Ciascuna delle due parti si prepara a continuare la guerra in condizioni peggiorate dall'inverno. Non avendo i mezzi materiali e umani per un'offensiva, l'esercito di Putin sta fortificando le sue centinaia di chilometri di linee di difesa. L'esercito di Zelensky sta cercando di respingere un po' di più l'avversario e si prepara a ricevere le nuove armi che il Senato americano ha deciso di consegnare.
Ma allo stesso tempo si conferma che Washington sta spingendo Kiev a negoziare con Mosca. In una conferenza stampa, il generale e capo di Stato Maggiore Milley ha dichiarato che nel breve termine "la probabilità di una vittoria militare [...] che espella i russi da tutta l'Ucraina [...] non è molto alta". E, per chiarire a Zelensky, ha aggiunto che mentre: "I russi sono davvero in una brutta situazione", gli consigliava di "negoziare in un momento in cui siete in una posizione forte".
Zelensky aveva già cambiato posizione dicendo di essere d'accordo per discutere con Putin, ma senza voler cedere alcun territorio. Tuttavia, per Washington, la Crimea deve rimanere alla Russia, che reagirebbe con forza a qualsiasi tentativo di riprenderla. Anche nel campo ucraino, alcuni non esitano più a dire che la reintegrazione forzata del Donbass, la cui popolazione guarda a Mosca, porrebbe problemi insolubili allo Stato ucraino. Ma accettare discussioni senza un preventivo ritiro delle forze russe dall'intera Ucraina "significa capitolare di fronte al Paese che sta perdendo", ha dichiarato un consigliere della presidenza ucraina. E Zelensky, a cui il sostegno da parte dell'America e dell'Europa ha permesso di assumere la posizione di Padre la Vittoria, non vuole rischiare di essere accusato dal movimento nazionalista e di estrema destra che lo accetta come signore della guerra di aver svenduto l'integrità nazionale. Inoltre una parte della popolazione potrebbe esprimere nuovamente il suo rifiuto delle sue politiche antisociali, come aveva fatto prima della guerra.
La pressione che gli Stati Uniti stanno esercitando sul governo ucraino non significa affatto che i negoziati, e tanto meno un accordo, siano per domani. Ci vorranno forse mesi o anni, a seconda dei rapporti di forza sul terreno e in ogni campo. Finora le principali potenze imperialiste occidentali sono state favorevoli a questa guerra fatta con le loro armi e con la pelle dei soldati ucraini e russi. La sua durata dipenderà da ciò che riterranno più favorevole ai loro interessi, in un contesto di crescenti tensioni internazionali.
L'alto ufficiale americano già citato, ha paragonato la guerra di trincea in Ucraina a quella che prevaleva in Europa nel 1915: ogni parte era fortificata a tal punto che le linee non si muovevano più. Secondo il generale Milley a quel momento si sarebbero dovuti organizzare negoziati, mentre continuando a combattere il numero dei morti è salito da uno a venti milioni. È un modo per dare la colpa dei futuri morti di questa guerra al regime di Kiev, che Washington ha armato, ma che ora vorrebbe vedere invertire la rotta.
Sembra che gli Stati Uniti, padroni dell'escalation bellica in Ucraina, ora considerino il suo prolungamento più dannoso che vantaggioso per i loro interessi. Dopo nove mesi di guerra, Putin sembra aver fallito la sua "operazione speciale". A detta di tutti, la Russia è visibilmente indebolita, e questo era uno degli obiettivi dichiarati di Biden. Militarmente, deve fare marcia indietro. Le sanzioni occidentali hanno colpito l'economia del Paese, al punto che le autorità riconoscono che il Paese è in recessione. E le critiche a Putin, che non sono mai cessate, si fanno più forti nelle alte sfere, anche se non si sa cosa potrebbe risultare da un movimento di malcontento sociale che scoppierebbe di fronte a un potere indebolito.
Per i dirigenti americani ed europei, è un conto indebolire il potere di Putin, ma non vogliono correre il rischio che il suo regime crolli, portando a un caos su larga scala, che sarebbe difficile da gestire. Probabilmente non vogliono una situazione che destabilizzi profondamente la Russia, che rimane a suo modo uno dei pilastri dell'ordine mondiale. I trust petroliferi lo hanno potuto verificare ancora una volta quando nello scorso gennaio l'esercito russo si è recato in Kazakistan per sedare una rivolta popolare che minacciava gli interessi della dittatura locale, oltre a quelli del Cremlino e delle imprese occidentali presenti. Allora le pressioni esercitate da Washington affinché Zelensky negozi con Putin senza troppi indugi sembrano indicare che i dirigenti americani, dopo aver giocato con il fuoco in Ucraina, vogliono evitare che il fuoco si propaghi in Russia e vada fuori controllo.
P. L.