Potrebbe chiamarsi divieto di difesa. L’accordo del 10 gennaio non è altro che la naturale conseguenza di quello precedente del 31 maggio – naturalmente per tutti coloro che volevano capire. In effetti è solo il suo regolamento applicativo.
L’accordo sulla rappresentanza, ultimo in ordine di tempo dei vergognosi cedimenti che la Cgil sta smerciando come una conquista - nel più puro stile da venditore di fregature - è stato siglato proprio in mezzo allo svolgimento del Congresso 2014, non faceva parte del solito, interminabile, prolisso e inutile documento programmatico di maggioranza, e – inutile sottolinearlo – non era stato né diffuso né discusso in precedenza, né fra gli iscritti né negli organismi. In compenso, e forse solo Landini e la Fiom non se ne erano accorti, era già ampiamente contenuto nell’accordo del 31 maggio con Cgil Cisl e Uil, che anche la Fiom aveva avallato: la differenza è che ora non si tratta più di meri principi, ma di regole stringenti. La dirigenza Camusso, forse la peggiore del secondo dopoguerra, a capo di una Cgil screditata e mai così debole, realizza un capolavoro di ipocrisia, e insieme un danno profondo sia per le sue conseguenze concrete che per la perdita di fiducia inevitabile che comporterà.
D’ora in avanti saranno possibili le deroghe aziendali su orari, prestazioni e condizioni di lavoro, rendendo di fatto inconsistenti i contratti nazionali di lavoro. Solo i firmatari degli accordi saranno ammessi alla contrattazione, e solo loro rappresenteranno – si fa per dire – i lavoratori. Il padronato potrà godere del massimo delle tutele, perché è prevista l’esigibilità totale degli accordi: cioè, una volta firmati, non saranno ammesse opposizioni o contestazioni da parte di chicchessia, pena sanzioni sui diritti, e anche pecuniarie. E’ fin troppo facile capire che una vicenda come quella dell’opposizione FIOM agli accordi di Pomigliano non si potrebbe realizzare, o - qualora si realizzasse - non sarebbe priva di conseguenze. Sostenere, come sostiene la Cgil, che gli accordi saranno sottoposti a votazione e saranno firmati solo con il consenso del 50%+ 1della rappresentanza sindacale e del 50%+ 1 dei lavoratori è una pia illusione, soprattutto sapendo come vengono votati gli accordi, e soprattutto considerando le condizioni di estrema ricattabilità nelle quali si troveranno i lavoratori chiamati a votare gli accordi.
Per la Cgil è un sospiro di sollievo: tanto di guadagnato non trovarsi fastidiose opposizioni interne o provenienti dalle categorie, specie manovrabili con difficoltà come la FIOM, e allo stesso tempo non doversi confrontare con altre sigle sindacali, spesso sgradevolmente aggressive e determinate verso la controparte. Ma il vero affare lo fa il padronato. Con la crisi in corso, il rischio è quello di reazioni non controllabili, e questo rischio va contenuto al minimo. Ai Sindacati il padronato chiede di poter contenere la caduta dei profitti, e magari mantenerli o aumentarli, stipulando accordi al ribasso, togliendo tutele, peggiorando le condizioni: e chiede di poterlo fare senza incognite, chiede ai Sindacati l’impegno di far rispettare gli accordi dalla base. Per affrontare la crisi al meglio, ha bisogno di assicurarsi l’assenza di reazioni, e per questo la collaborazione dei Sindacati è indispensabile.
Prestarsi a questo gioco al massacro, di cui la maggior parte dei lavoratori non ha ancora la consapevolezza, è semplicemente ignobile, e ancora più ignobile tradire la fiducia dei lavoratori consegnandoli mani e piedi legati nelle mani di chi li sfrutta.