Il capo di stato maggiore della Difesa, ammiraglio Giuseppe Dragone, ha sostenuto, in una recente intervista al quotidiano La Stampa, che il conflitto in Ucraina non possa essere risolto sul piano militare: “né gli uni, i russi, riusciranno mai a disarcionare la leadership ucraina, né gli altri, gli ucraini, potranno riuscire a riconquistare tutti i territori che sono stati invasi dalla Russia. Questo è un dato che rimane costante nel tempo”.
La stessa opinione l’aveva espressa, pochi giorni prima, il suo omologo americano, il generale Mark Milley. La macchina infernale della guerra con le sue migliaia di morti e le sue distruzioni sta dunque lavorando a vuoto.
Ma la guerra continua è c’è il rischio concreto che si allarghi. Con un coinvolgimento diretto dei paesi europei occidentali e quindi anche dell’Italia. In altre parole, gli scenari che ci mostra la televisione, le città sventrate i morti per le strade, la distruzione di ponti, strade, ferrovie e porti potrebbero diventare anche la nostra realtà. La Meloni non perde occasione per ribadire la propria fedeltà atlantica e insiste a fornire sempre nuovi armamenti al governo Zelensky. La quasi totalità dei partiti e i maggiori organi d’informazione sono con lei. E questo nonostante la maggioranza della popolazione sia contraria, come dimostrano tutti i sondaggi. I “nostri” governanti ci portano diritti verso il baratro con una superficialità e una leggerezza sorprendenti.
Tutte le questioni che riguardano la giustizia sociale rimangono lettera morta. La classe operaia, presa in giro già dai governi precedenti, non può sperare niente nemmeno da questo.
La questione dei salari, agitata a periodi intermittenti dal governo Conte, prima, da quello Draghi poi e, in campagna elettorale dai partiti della destra, è stata buttata ancora una volta nel dimenticatoio. Ai bassi salari sono legate molte conseguenze: dall’impossibilità di pagare un affitto o un mutuo, alla rinuncia alle cure mediche, all’impossibilità di pagarsi una pensione integrativa dato che quella dell’Inps sarà sempre più misera.
La classe lavoratrice deve ritrovare la forza di reagire. Non basta disertare le urne, come è avvenuto nelle ultime elezioni politiche e, ancora di più, nelle regionali di Lazio e Lombardia. L’astensionismo operaio è un segnale inequivocabile di una classe che sente lo Stato e i suoi istituti come estranei ai propri interessi quotidiani. Agli occhi delle masse, ciò che è veramente importante e vitale appare già deciso da altri. La partecipazione alla politica appare quindi un’inutile perdita di tempo.
Ma reagire a tutto questo significa entrare consapevolmente, non come elettori ma come classe sociale, nella lotta politica. La dignità della classe operaia, che ogni tanto viene tirata fuori per consolare gli operai che protestano per la chiusura di una fabbrica, è una frase vuota, è al massimo l’orgoglio del proprio mestiere, che in qualsiasi momento può venire spazzato dall’evoluzione delle tecnologie o dalle ristrutturazioni industriali. Dignità di classe è acquisizione della consapevolezza di appartenere alla classe sociale che produce la ricchezza e i servizi indispensabili al funzionamento di un paese civile. La dignità di classe è la capacità di porsi in piedi di fronte al resto della società e rivendicare oggi, collettivamente e per tutti i lavoratori, i diritti così a lungo calpestati. E se l’ordine sociale capitalistico e il suo stato non riescono a garantire una vita decente ai lavoratori e la pace ai propri popoli, significa solo che i tempi sono maturi perché quest’ordine venga abbattuto. Ai lavoratori serve un programma politico di trasformazione sociale e un partito che sappia portarlo avanti.