Nel suo libro La grande illusione (1909) l’economista inglese e premio Nobel per la pace Norman Angell aveva sostenuto che, se fosse scoppiata la guerra, anche una potenza belligerante vittoriosa avrebbe subito perdite enormi in campo finanziario ed economico…Angell faceva notare che le grandi potenze industriali, la Gran Bretagna, gli Stati Uniti, la Germania e la Francia, stavano ormai “perdendo l’impulso psicologico alla guerra, così come abbiamo perso l’impulso psicologico a uccidere i nostri vicini per questioni di carattere religioso”. E come avrebbe potuto essere altrimenti? “Come può la vita moderna, con una parte così preponderante dedicata alle attività industriali e una parte così ristretta alle attività militari, mantenere vitali gli istinti connessi con la guerra in opposizione a quelli che si sono sviluppati con la pace?” Persino lo junker prussiano “mostra meno i muscoli a mano a mano che prende confidenza con la scienza”.
Angell non era affatto il solo a rilevare che quelle stesse potenze, le quali con le loro rivalità rendevano tanto bellicosa l’opinione pubblica, erano strettamente legate dai vincoli del libero scambio e dell’interdipendenza industriale.
Martin Gilbert, “La grande storia della Prima guerra mondiale”, 1994