Uno sciopero rituale per une finanziaria non rituale

Come il Natale, arriva ogni anno a dicembre lo sciopero CGIL contro la Finanziaria. Dopo mesi di scialbe critiche all'operato governativo, lo sciopero di fine anno è per lo meno doveroso, o comunque così è sentito dalla dirigenza sindacale. Il minimo per non apparire del tutto impotenti.

 

Anche quest'anno ci siamo arrivati: la legge del Bilancio dello Stato è pronta per il varo in Parlamento. La prima Finanziaria del primo Governo post-fascista dal dopoguerra non poteva che esprimere la "visione" delle forze che detengono la maggioranza parlamentare, come si esprime con soddisfatto auto-compiacimento il presidente del Consiglio dei Ministri (così ha ufficialmente disposto di voler essere definita Giorgia Meloni): "E' finita la pacchia!" il suo annuncio, che non lascia dubbi sui destinatari dell'ammonimento. Per i quali, peraltro, la pacchia non è mai cominciata.

Il grosso della manovra è l'obbligatorio intervento sulle bollette energetiche, ma al di là della propaganda che mette sullo stesso piano "famiglie e imprese", tanto che in certi servizi giornalistici in tivù sembra si parli dello stesso soggetto ("famiglimprese"!), l'obiettivo vero sono le imprese, a dimostrazione che per loro nessuno ha mai pensato alla fine della pacchia.

Nonostante i flussi elettorali sembrino ricercare proprio nelle classi più disagiate il serbatoio di voti che ha permesso a Fratelli d'Italia di ottenere la maggioranza, non pare che la "visione" dei più votati corrisponda alle illusioni. Anzi, se una cosa è certa è che la "visione" del nuovo Governo contiene tutto l'armamentario più basso e iniquo della destra populista. Mentre si vanta di favorire "il merito", le "capacità" etc, assegna una tassa piatta del 15% sui ricavi dei lavoratori autonomi, aumentandola dai ricavi di 65.000 euro a 85.000. Un regalo che ha una platea di 40.000 titolari di partita IVA fuori dal regime forfettario, notoriamente già titolari di ampia evasione fiscale. Del resto, basti notare che, per la stessa cifra, la tassa sul reddito dei lavoratori dipendenti si aggira intorno al 43%. E, quanto alla riduzione del cuneo fiscale per i lavoratori dipendenti, lasciamo parlare chi se ne intende, ovvero il quotidiano di Confindustria: "Per il lavoro dipendente la misura più rilevante (che costa 4,2 miliardi) è la conferma del taglio di 2 punti del cuneo fiscale e contributivo disposto dal governo Draghi per i redditi fino a 35mila euro lordi annui, cui si aggiunge ora un’ulteriore punto destinato in via esclusiva ai redditi fino a 20mila euro. Data la platea cui si rivolge, il beneficio del taglio aggiuntivo oscilla tra i 12 e i 20 euro al mese. Nel cumulato dei tre punti i risparmi possono variare dai 231 euro annui per redditi di 10 mila euro ai 395 euro per redditi di 20 mila euro. Per ogni tipologia di reddito e di sconto fiscale va in ogni caso messo nel conto che siamo in presenza di un’inflazione che ormai ha raggiunto il 12 per cento" (Il Sole 24 Ore, 26.11.22). E appunto, ci pensa l'inflazione a mangiarsi prontamente gli esigui vantaggi dello sconto IRPEF, mentre salari e pensioni continuano ad essere tassati più delle rendite finanziarie. Si aggiungano altri omaggi pro-evasori, come l'aumento del tetto al pagamento in contante (peraltro già evaso anche prima, con furbate tipo il frazionamento della fatturazione), e l'aumento delle cifre pagabili con il pos anziché con il contante. Un segnale chiaro per chi è abituato a non pagare le tasse che le maglie saranno larghe, e sugli abusi si potrà chiudere un occhio, anzi tutti e due; e insieme, un sincero disprezzo e un segnale di manganello per chi si guadagna la vita da lavoratore dipendente.

Per la classe operaia è poi pronta una tipologia di retribuzione non nuova, ma che ormai si sperava definitivamente tramontata. Come gli zombies, a volte ritornano anche i defunti vouchers. Così si ricomincerà a pagare le persone con i famigerati buoni acquistati dal tabacchino, che mai sostituirono il lavoro nero, ma in compenso evitarono più volte le assunzioni regolari e precipitarono nel precariato senza via d'uscita generazioni di disoccupati, specialmente dopo la liberalizzazione totale di renziana memoria.

Niente -ovvio!- in Finanziaria sul salario minimo, in un Paese in cui non basta lavorare per sfuggire alla povertà, se è vero che anche chi lavora a volte è stato costretto a richiedere il reddito di cittadinanza. Misura quest'ultima per la quale, come promesso in campagna elettorale, è pronta la sepoltura. La propaganda accompagnatoria sfrutta l'ormai logoro ma funzionante modello del povero come incapace e fannullone, buono solo a poltrire sul divano, e la miseria come colpa da cui redimere con misure vessatorie. Perciò intanto si riduce l'importo del sussidio per chi ha osato rifiutare un'offerta di lavoro, poi si proroga per altri otto mesi, così i disoccupati, elegantemente ribattezzati "occupabili", potranno abituarsi a farne a meno, dato che dal 2024 è abolito. In un Paese che può vantare oltre 5 milioni di persone sotto la soglia di povertà, per di più in aumento, è l'ideale risparmiare 800 milioni (tanto costa il reddito di cittadinanza) per consentire l'esborso di 26 miliardi in spese militari e 99,2 miliardi in evasione fiscale: 86,5 miliardi in imposte evase (IRPEF, IVA, IRES,IRAP) e 12,7 miliardi di contributi non pagati. (Fonte: Nota di aggiornamento al DEF, ultimi dati disponibili riferiti al 2019).

Aemme