Ungheria: una Costituzione reazionaria e nazionalista

Uno dei possibili risvolti della crisi economica è il rafforzamento delle correnti politiche più conservatrici, retrograde e reazionarie. La paura per un domani che appare sempre più precario tocca un numero ogni giorno più grande di persone. La mancanza di una grande forza politica operaia basata sul programma del socialismo marxista, priva le masse di un punto di riferimento solido. La rabbia e l’indignazione per le più evidenti ingiustizie sociali vengono spesso intercettate e fatte proprie dai demagoghi della destra. In un gioco che anche in Italia conosciamo molto bene, si indirizza la protesta contro gli immigrati, le minoranze nazionali o contro settori del lavoro dipendente dei cui "privilegi" e delle cui "garanzie" ci si dichiara scandalizzati. Ci si inventano poteri occulti contro cui scagliarsi, fingendo di ignorare il potere palese del gran capitale, si rispolverano vecchie storie di popoli guerrieri, di battaglie sanguinose vinte a fil di spada, di santi e di re di un remoto passato, tutto per nascondere l’essenziale: la crisi del capitalismo la stanno pagando i lavoratori e le masse povere di tutti i paesi, di tutte le nazionalità ed "etnie".

In diversi paesi europei, vari partiti della destra più reazionaria hanno segnato dei successi elettorali notevoli. Dalla Svezia alla Finlandia, dall’Austria alla Francia, senza dimenticarsi dell’Italia.

Questo è il quadro generale in cui si inserisce oggi la vicenda ungherese. Il Parlamento di Budapest ha approvato il 18 aprile scorso il testo di una nuova Carta costituzionale che rafforza i poteri dell’esecutivo, restringe di fatto la libertà di stampa e l’indipendenza della magistratura, si riferisce all’Ungheria più come ad una comunità etnica che come a uno stato nazionale e tanto meno ad una repubblica. In questa Costituzione, che sostituisce quella "comunista" del 1949, più volte emendata negli ultimi anni, si fa riferimento al "ruolo del cristianesimo" nella "storia millenaria dell’Ungheria" e, naturalmente, non mancano le sviolinate sulla "famiglia" e sull’"ordine morale". Viene anche riconosciuto il diritto di voto ai cittadini stranieri di origine ungherese, facendo così un primo esplicito passo verso un irredentismo che ha naturalmente suscitato il disappunto degli stati come la Romania, la Serbia, l’Ucraina o la Slovacchia dove l’insediamento di minoranze di origini ungheresi è pluridecennale.

Il Parlamento ungherese è composto ormai per due terzi dal partito Fidesz, al governo assieme ad un piccolo partito democristiano. Ma forse la cosa più importante da notare è che Fidesz, che ha vinto le elezioni politiche dello scorso anno, non è all’estrema destra dello schieramento ungherese. Il partito di estrema destra è il semi-fascista Jobbik che fiutando il nuovo clima politico ha sguinzagliato i suoi gruppi paramilitari in divisa nera a intimidire i passanti, arrogandosi il diritto di chiedere i documenti ai volti "sospetti", contando sulla complice indifferenza della polizia.

In Europa il pericolo fascista non è, almeno per il momento, reale. Ma questo non significa che non ci siano correnti e partiti politici che cercano la loro fortuna nel dare un volto un po’ più "rispettabile" e "democratico" ai pregiudizi, agli odi di razza e nazionalità, ai fanatismi religiosi con i quali da sempre le classi dirigenti, nei momenti di difficoltà economica, cercano di ingannare i popoli.