Un milione di famiglie senza lavoro

Metà anno (più o meno), tempo di un primo bilancio. Ci dicono che “il Paese sta ripartendo”, che la crisi sta finendo… ma la domanda è sempre la stessa: per chi? I dati trimestrali dell’ISTAT non segnalano granché di nuovo, almeno sul fronte del lavoro. Si parla ancora di un milione di famiglie senza lavoro e quindi senza reddito da salario, una cifra stabile che non accenna a diminuire. Rispetto all’anno precedente, la variazione è minima: -0,7%. In queste famiglie, chiunque sia in età da lavoro risulta disoccupato; in circa la metà dei casi si tratta di coppie con figli. A questo ultimo dato fa riscontro l’allarme dei garanti per l’infanzia: sempre più bambini non vanno a scuola, un minore su tre è a rischio povertà. Il disagio economico pesa sull’abbandono scolastico e sulle condizioni generali dell’infanzia, che vedono anche casi limite, come quello di 50.000 minori senza fissa dimora. Quando invece va bene, le famiglie dei senza lavoro possono contare su un componente titolare di un reddito da pensione, o sulla casa di proprietà.

I dati statistici sul tasso di disoccupazione intanto salgono e scendono, e in molti casi sono poco affidabili, proprio per la loro precarietà, direttamente collegata alla precarietà degli impieghi. Si è parlato molto di disoccupazione giovanile, anche perché negli ultimi anni il dato riguardante la disoccupazione degli ultra-cinquantenni è stato drogato dall’impossibilità di accedere alla pensione, il che ha aumentato il numero degli occupati sopra i 50 anni. Dato che però la crisi non ha fatto sconti a nessuno, e nel frattempo non sono mancati licenziamenti, cassa integrazione e riforma dei cosiddetti ammortizzatori sociali, con la fine della mobilità a dicembre 2016 si è scoperto che esiste anche un boom della disoccupazione per gli ultra-cinquantenni. Secondo l’ISTAT, per la prima volta dall’inizio delle serie storiche (2004) ci sono più disoccupati nella fascia sopra i 50 anni che tra i 15-24enni. Il 74% di queste persone hanno lasciato forzatamente il lavoro perché sono stati licenziati, e il 61,4% sono disoccupati di lunga durata, cioè da più di un anno. Quale azienda è disposta ad assumere un disoccupato di lunga durata, in là con l’età, avendo a disposizione manodopera giovane e mediamente più qualificata? Così è chiaro a cosa serve l’aumento dell’età pensionabile: non solo e non tanto a farci lavorare per più anni, quanto a non concederci una pensione, qualora restassimo disoccupati in età avanzata.

Aemme