Un governo dei ricchi e dei padroni

L’avvicinarsi di diverse elezioni regionali spinge i partiti di governo a tentare le solite promesse demagogiche mentre continuano le solite autocelebrazioni sui grandi successi economici italiani dovuti al governo Meloni.

Pagano i lavoratori

I fatti però hanno la testa dura e questi ci dicono che, non diversamente da quelli che lo hanno preceduto, il governo Meloni non è che la sentinella dei privilegi dei grandi capitalisti.

La perdita del potere d’acquisto dei salari continua. I salari italiani, secondo un’analisi svolta dall’Organizzazione Internazionale del Lavoro, hanno avuto la maggiore erosione tra i paesi del G20. Tra il 2008 e oggi siamo al - 8,7% mentre per la Germania si è avuto un aumento del 15% e per la Francia del 5%.

Il quadro generale della distribuzione della ricchezza ci mostra come per una minoranza della popolazione italiana la crisi è un’espressione senza senso. Il 10% più ricco detiene il 60% della ricchezza nazionale mentre il 50% più povero ne ha appena il 7,4%. Uno spostamento della ricchezza verso l’alto che in dieci anni ha visto aumentare del 7% la fetta della torta di cui si appropria il 10% più ricco. I dividendi distribuiti dalle imprese tra il 2022 e il 2023 sono stati 52 miliardi, con una tassazione al 24%, cioè poco superiore al primo scaglione Irpef di un normale lavoratore (nel 2007 era il 33%).

La classe operaia paga non solo in termini economici ma anche con la salute e la propria stessa vita. Nonostante le promesse e gli impegni, rinnovati in occasione dell’approvazione del cosiddetto “Decreto lavoro” del luglio 2023, nonostante le task force che avrebbero dovuto vedere centinaia di ispettori del lavoro mobilitati, a fine agosto i morti sul lavoro erano già 957. L’anno precedente erano 1090 e quello prima 1041.

Un governo dei padroni e dei ricchi, questa è la verità, al di là di tutta la demagogia di Meloni, Salvini e Tajani.

Fedeltà atlantica prima di tutto

La grande borghesia italiana viene servita non solo garantendone i profitti, attraverso una legislazione sociale antioperaia, ma anche cercando di rafforzare i legami con gli Stati Uniti, che agli occhi dei capitalisti nostrani rimangono, il miglior gendarme dell’ordine capitalistico mondiale e quindi il più sicuro garante delle loro speculazioni finanziarie. Interpretando questo sentimento, gli esponenti del governo hanno minimizzato la gravità della guerra dei dazi scatenata da Trump e hanno pedissequamente seguito il presidente americano in tutte le sue giravolte, subendo passivamente ogni genere di insulto.

La politica estera, naturalmente, segue lo stesso copione. Il genocidio in atto a Gaza, apertamente appoggiato da Trump, ha trovato al massimo, nelle ultime settimane, qualche nota di disapprovazione dal ministro degli esteri Tajani, il quale ha avuto la faccia tosta di vantarsi per i pochi palestinesi accolti e curati nelle strutture sanitarie italiane. “Siamo il paese europeo che ha accolto il maggior numero di palestinesi”, ha dichiarato. Di che numeri stiamo parlando? Di 914 persone. Ma a Gaza ne sono già morte più di sessantamila e la distruzione, i bombardamenti, le marce forzate, la fame, la mancanza di cure ne uccideranno sicuramente altre decine di migliaia!

La bestialità dimostrata dal governo Netanyahu non ha indotto il governo italiano a cessare l’invio di armi in Israele e la collaborazione militare continua. Da parte sua, l’ENI ha sottoscritto un accordo con il Ministero dell’energia israeliano per lo sfruttamento dei giacimenti di gas che si trovano nelle acque antistanti a Gaza. Dal punto di vista del diritto internazionale, quella porzione di mare non è nelle disponibilità di Israele ma delle autorità palestinesi, quindi l’ENI considera l’occupazione di Gaza da parte di Israele come un fatto acquisito.

D’altra parte, attenersi al “kiss my ass” del truculento presidente americano non garantisce un’approvazione senza condizioni al governo italiano. Di recente, secondo un’indiscrezione rilanciata dall’agenzia Bloomberg, l’ambasciatore statunitense presso la Nato, Matthew Whitaker, ha espresso la sua “ferma opposizione” alla contabilità “creativa” italiana che crede di poter inserire spese come quella per il ponte sullo stretto di Messina nel conto di quel 5% del Pil, richiesto dall’Alleanza atlantica per il riarmo di ogni paese aderente.

Le miserie della politica estera italiana sono evidenti, per quanto tutta una serie di commentatori “indpendenti” continuino a celebrare il ruolo e il prestigio internazionale raggiunto dall’Italia, grazie alla Meloni. È il caso della proposta di un “articolo 5 allargato”, com’è stato definito dai giornali, con il quale la Meloni propone di rispondere alla questione della protezione dell’Ucraina dopo che la guerra sarà finita. L’articolo 5 del patto costitutivo della Nato prevede che ogni membro dell’alleanza intervenga a difesa di un altro membro nell’eventualità che venga attaccato. Il professor Alessandro Orsini, qualificando come una “cretinata” questa proposta del governo italiano, ha ricordato che questa ricalca lo schema che portò alla Seconda guerra mondiale. Francia, Inghilterra e Polonia, pochi mesi prima che questa fosse aggredita dalla Germania, avevano stipulato un “Patto di assistenza reciproca” che obbligava ciascuno degli Stati firmatari a intervenire in difesa di chiunque di loro avesse subito un attacco da parte di un’altra potenza. La guerra si allargò fino a diventare mondiale. Bilancio: più di sessanta milioni di morti e il bombardamento atomico di Hiroshima e Nagasaki.

Per quanto il governo si unisca al coro europeo che parla di minaccia permanente a proposito della Russia, profetizzando una “discesa dei barbari” su tutto il continente e facendo appello ad una ulteriore moltiplicazione delle spese militari, i lavoratori, che sono stati ridotti a un regime di salari miserabili mentre aumentano profitti e rendite di una minoranza di ricconi, hanno il primo nemico, entro i confini del proprio paese, nella classe sociale che si arricchisce col loro sfruttamento.

R.P.