L'intervento dell'esercito turco in Siria, deciso dal Presidente Erdogan, non è una sorpresa. Infatti, la sua cricca al potere da 17 anni è ormai in difficoltà e come sempre cerca di uscirne con qualche operazione militare.
Il paese sta sempre più sprofondando nella crisi che si accompagna agli scandali legati alla corruzione. Su 82 milioni di abitanti, più di 20 milioni lottano per sbarcare il lunario e 3,4 milioni sono sotto procedimento giudiziario per mancato pagamento di debiti. Più di otto milioni di persone sono disoccupate, di cui il 25% di giovani.
L'AKP, il partito di Erdogan, è ora solo l'ombra di sé stesso. Un'indagine di settembre stima al 60% della popolazione coloro che rifiutano il sistema di iper-presidenza appositamente progettato da e per Erdogan. Un'altra misura dell'usura del potere sono state le elezioni comunali dello scorso marzo in cui l'AKP ha perso quasi tutte le grandi città, in particolare Istanbul, il centro economico del paese con i suoi 16 milioni di abitanti, e la capitale Ankara. Questi risultati indicano chiaramente che la popolazione urbana, che fino a poco tempo fa sosteneva il regime di Erdogan, non l'ha più votato.
All'interno dello stesso partito AKP, la crisi si sta aggravando: alcuni dirigenti come l'ex presidente Gül, l'ex primo ministro Davutoglu o l'ex ministro delle finanze Babacan non solo l'hanno lasciato, ma hanno dichiarato di raggiungere l'opposizione.
Per riuscire a mantenersi, Erdogan e la sua cricca vorrebbero con questo intervento esaltare un sentimento nazionalista anti-curdo e creare un'unità nazionale attorno a loro. Non è una novità. Prima delle elezioni di marzo, Erdogan aveva già preparato due volte un intervento delle forze armate turche sul confine siriano. Ogni volta, lo stato maggiore aveva dovuto rinunciare per l'opposizione degli Stati Uniti. Questa volta, Erdogan ha lanciato l'azione militare non appena ha avuto il via libera del Comando aereo statunitense.
A parte il partito filocurdo HDP, i partiti di opposizione quali il socialdemocratico CHP o il "Buon partito" che critica Erdogan hanno approvato l'intervento in una votazione in Parlamento. Ma la popolazione, nonostante sia stata sottoposta ad una campagna nazionalista da parte di mass media quasi tutti agli ordini del governo e costantemente bombardata con marce militari ottomane e denunce dei cosiddetti "terroristi" curdi, non sembra completamente ingannata da tale procedimento. Una prova è che il governo, che teme la diffusione di messaggi ostili alle sue politiche, ha deciso di controllare o addirittura bloccare i social. Inoltre, Erdogan si vanta di aver già fatto arrestare almeno 129 persone che avevano espresso un parere negativo sull'intervento.
Erdogan e il suo governo stanno forse giocando la loro ultima carta, ma nulla dice che la popolazione, stanca dell'inflazione, delle conseguenze della crisi economica e delle dichiarazioni autoritarie dell'iper-presidente, li seguirà ancora a lungo.
J. S