Nonostante il provocatorio annuncio del ministro degli interni, il leghista Maroni, che metteva in guardia da non ben precisate infiltrazioni di gruppi violenti “venuti anche dall’estero”, nonostante l’acida ironia dei giornali-cagnolino al guinzaglio di Berlusconi, nonostante chi, da Bonanni, segretario della Cisl a buona parte dello stesso apparato dirigente della Cgil, si immaginavano una triste sfilata di qualche migliaio di teste ingrigite dagli anni, la manifestazione nazionale della Fiom del 16 ottobre a Roma si è svolta, immensa, pacifica, piena di giovani, combattiva.
La manifestazione ha raccolto una rabbia e una voglia di riscatto ormai diffusissimi tra i lavoratori di tutte le categorie, per contrastare quella che passa ormai sotto il nome neutro di “crisi” ma che dovremmo chiamare offensiva padronale contro i diritti dei lavoratori. Negli ultimi mesi, opponendosi al ricatto del manager della Fiat Marchionne nei confronti dei lavoratori di Pomigliano, la Fiom si è guadagnata la fiducia di settori del mondo del lavoro molto più ampi della categoria dei metalmeccanici. È naturale che nell’appello a manifestare a Roma, specie tra gli operai delle imprese minacciate dalla chiusura o già in cassa integrazione, si sia vista un’occasione per uscire dai limiti della singola azienda e della singola città ed è altrettanto naturale che la Fiom sia vista come la bandiera e la forza trainante di una possibile riconquista di tutto quello che gli operai hanno perso negli ultimi anni.
Inutile dire che della manifestazione della Fiom si è fatto subito un nuovo pretesto per alimentare la polemica tra opposizione e governo e all’interno stesso dell’opposizione. Nel PD, che aveva annunciato di non aderire ufficialmente, la grande partecipazione al corteo metalmeccanico acutizza le divisioni interne. Chi prende più o meno per buona la posizione del ministro del Lavoro Sacconi secondo il quale quella della Fiom è stata una “manifestazione politica della sinistra radicale” e quindi ne prende le distanze, e chi teme che di quella mobilitazione possano cogliere i frutti il partito di Di Pietro e Sinistra e Libertà di Nichi Vendola.
Nei prossimi giorni, la gravità della condizione operaia, testimoniata dalla grande partecipazione alla manifestazione della Fiom, sfumerà più o meno rapidamente dalla lista di argomenti che occuperà i dibattiti e le risse della politica parlamentare. Basta guardare uno dei tanti talk-show televisivi per rendersi conto come gli esponenti politici e le “grandi firme” della carta stampata, perennemente invitati, siano molto a loro agio nel combattere, o far finta di combattere, una guerra tutta interna al mondo degli apparati politici e istituzionali. Le questioni operaie, i problemi del mondo del lavoro, che pure riguardano la maggioranza della popolazione attiva, sono trattati con molta meno competenza e molto più distacco. Al massimo possono fornire lo spunto o il punto di partenza per polemiche che poi sfociano di nuovo negli stessi argomenti: la riforma elettorale, la “governabilità”, ecc.
Tutti questi personaggi possono essere lasciati alle loro risse e alle loro guerre fasulle. Quando si tratta di scioperi e manifestazioni di massa, la questione principale è lo sbocco da dare, le prospettive che i lavoratori che si mobilitano hanno davanti a loro. Questo problema oggi è centrale per la classe lavoratrice, e non deve essere subordinato a nessun intrigo parlamentare.
Il passo successivo è lo sciopero generale. Lo ha detto il segretario della Fiom, Landini, dal palco di piazza San Giovanni e lo ha condiviso perfino Epifani che ha ricordato: “Lo sciopero è un grande sacrificio economico, lo dobbiamo preparare per bene, portando tutto il mondo del lavoro con le giuste proposte”. Le “proposte” dei dirigenti riformisti della Cgil e della Fiom andranno nella direzione giusta? C’è da dubitarne fortemente, ma del successo di uno sciopero generale che deve essere giustamente “ben preparato”, ma non in tempi biblici, si può essere sicuri.