Torino - La vergogna dei CIE

Lo scorso 1° ottobre, in corso Brunelleschi, sotto i muri del CIE (Centro di identificazione ed espulsione) di Torino, un centinaio o poco più di persone erano lì, militanti della lotta contro i CIE ma anche un nucleo numeroso di peruviani, mobilitati perché uno dei loro connazionali, Ysmael, era stato messo dentro. Non importava che fosse in Italia a lavorare da anni, sempre con il permesso di soggiorno in regola, e che qui c'è tutta la sua famiglia; quando l'hanno fermato il permesso era scaduto, quindi CIE.

Ysmael però era una bella gatta da pelare per la questura: fa parte di un'associazione politica peruviana che sostiene l'attuale presidente Ollanta e il suo caso ha risvegliato l'attenzione anche nel suo paese, dove i suoi compagni hanno organizzato un presidio sotto l'ambasciata italiana. Il questore aveva già tentato un rimpatrio rapido, ma arrivati sull'aereo Ysmael s'è ribellato urlando a tutti i passeggeri le sue ragioni, tanto che il pilota s'è rifiutato di partire se non lo avessero fatto scendere. Dopo avergliela fatta pagare lo hanno riportato al CIE di Torino ed eccoci al presidio variopinto e rumoroso del 1° Ottobre.

Mentre tutto era tranquillo, da un momento all'altro e senza preavviso la polizia e i carabinieri in assetto antisommossa caricavano, picchiavano indistintamente una madre col passeggino, un ragazzino (preso a calci in faccia), degli anziani peruviani. Si accanivano anche contro l'impianto di amplificazione che diffondeva la musica del presidio e arrivavano a inseguire le persone a decine di metri di distanza dal presidio, senza che ci fosse stato alcun accenno ad una risposta violenta.

L'intento della questura di spaventare i manifestanti e dissuadere le iniziative di solidarietà ai reclusi e di lotta contro i CIE era palese e sicuramente c'era nervosismo perché è sempre più difficile per loro gestire questo apparato scricchiolante: le fughe sono ormai all'ordine del giorno, e pure dal centro torinese, considerato ultra-sicuro, non più di un mese fa sono riusciti a scappare una ventina di ragazzi tunisini. Nel loro piccolo anche i presìdi fuori dalle mura contribuiscono a tenere accese le speranze dei ragazzi dentro, come testimoniano le decine di telefonate che da loro si ricevono ogni volta.

Da un anno e mezzo ad oggi la lotta dei migranti senza permesso di soggiorno rinchiusi nei centri di identificazione ed espulsione si è fatta più radicale. Batterie e pezzi di vetro ingeriti, scioperi della fame e della sete, fughe e incendi di intere sezioni. E come poteva essere altrimenti, se questi giovani che hanno popolato le piazze mediterranee ribellandosi ai dittatori locali, giunti in Italia vengono sbattuti dentro un lager per il solo fatto di non avere un pezzo di carta?

Il ministro Maroni, leghista, che ringhia contro "l'invasione dalle coste nordafricane", ricorre sempre più alle reclusioni: nei CIE, sulle barche o su isole lontane dagli occhi della gente che riconoscerebbe in questi giovani reclusi, gli stessi che chiedevano giustizia e libertà nelle foto-cartolina dei quotidiani di qualche mese fa. La politica del ministro è chiara: pugno di ferro contro gli immigrati irregolari; ma anche contro chiunque provi a svelare cosa c'è dietro i muri dei CIE, in particolare le pessime condizioni in cui i detenuti sono obbligati a vivere e i maltrattamenti continui.

Infatti dietro alla "pubblicità" che dipinge il CIE come un posto con tutti i comfort ci sono camerate sovraffollate e sporche, materassi sudici, niente coperte nemmeno d'inverno, cibo avariato e drogato con sonniferi; senza contare le percosse e i maltrattamenti fisici e verbali che militari e poliziotti non risparmiano ai detenuti. Pardon RECLUSI, perché non possono essere incarcerati per motivi razziali, quindi il governo Prodi (legge Turco-Napolitano del '98, approvata dai deputati di Rifondazione, tra gli altri Nichi Vendola) ha inventato questo stratagemma con la creazione dei CPT. Oggi il nome è diverso ma il concetto è lo stesso: nei fatti il CIE resta un moderno lager. Bisogna smettere di chiudere gli occhi di fronte alla vergogna che rappresentano questi luoghi.

Corrispondenza Torino