Nel marzo scorso, a due anni dalla lotta dei rider di Foodora, hanno scioperato quelli di Deliveroo, multinazionale anch’essa specializzata nel servizio di consegne di cibo a domicilio. Il 13 aprile, una trentina di loro ha occupato la sede di Milano a sostegno delle proprie richieste. Il general manager di Deliveroo ha risposto chiedendo l’intervento della polizia che, in assetto antisommossa, ha allontanato gli occupanti con la forza.
Le proteste hanno avuto origine dopo che l’azienda, seguendo pari pari l’esempio di Foodora, aveva annunciato via mail ai lavoratori che la paga oraria sarebbe stata sostituita con quella a consegna, introducendo così il cottimo “della pedalata”. E pensare che fu proprio Deliveroo, nell’insediarsi a Torino due anni fa, ad assumere, con paga oraria, alcuni rider di Foodora rimasti senza occupazione dopo le proteste avvenute allora per gli stessi motivi che oggi hanno scatenato quelle dei rider della concorrente.
Questi lavoratori, come quelli di Foodora, sono controllati e valutati mediante un’app, cosa che li rende più ricattabili e flessibili. Anche loro sono lavoratori a tutti gli effetti, che devono lavorare per poter vivere dignitosamente. Non sono studentelli alla ricerca di una paghetta per comprarsi le sigarette, come vorrebbero far credere i padroni di Foodora e di Deliveroo. Sono lavoratori costretti a lavorare senza diritti sindacali, sottopagati, senza tutele contributive e privi di protezione antinfortunistica.
È più che mai all’ordine del giorno una lotta comune di tutto il settore della gig economy, la cosiddetta “economia dei lavoretti” che si sta diffondendo sempre di più come il super sfruttamento su cui si fonda.
Corrispondenza da Torino