La risposta non può venire da una lotta isolata, tanto meno dalla carità cristiana, ma dalla solidarietà di classe
La Comital, azienda del gruppo francese Aedi per la produzione di laminati di alluminio, il 28 luglio dell’anno scorso annunciava la chiusura della fabbrica di Volpiano, cittadina alle porte di Torino, e il conseguente licenziamento dei 140 lavoratori. Da quel momento, è iniziata una lunga lotta con assemblee, presidi e cortei degli operai in difesa del posto di lavoro e contro lo smantellamento del sito produttivo (vedi L’Internazionale di settembre 2017). Aedi, trust con un capitale sociale di 10 milioni di euro, nel 2014 aveva acquisito la Comital dal gruppo Cuki portandola al tracollo in tre anni, non prima di aver beneficiato di forti sgravi fiscali sull’area occupata dallo stabilimento.
In novembre, la mobilitazione raggiungeva un primo risultato con il momentaneo ritiro dei licenziamenti e l’avvio della cassa integrazione per 12 mesi. L’azienda, in virtù di un accordo con la Fiom, accettava, in alternativa alla liquidazione, di chiedere al tribunale il concordato. Iniziava così un lungo periodo di attesa nella speranza di un compratore.
Quella speranza si è dissolta il 19 giugno scorso, quando il Tribunale di Ivrea, in assenza di proposte di acquisizione, dichiarava il fallimento della Comital e, con essa, della confinante Lamalu, impresa di 50 operai che si occupava della fusione della materia prima, poi lavorata dalla Comital. Il curatore fallimentare metteva in vendita le due aziende. I lavoratori rispondevano con presidi ai cancelli della fabbrica e davanti al Tribunale. Il fallimento dell’azienda significava, infatti, la fine immediata, e non più a novembre, della cassa integrazione.
Oggi, dunque, gli operai della Comital sono nell’assurda situazione per cui non sono stati licenziati, ma non percepiscono alcuna retribuzione e alcuni di loro non sono nemmeno più in grado di comprarsi da mangiare. Grazie alla riforma Renzi, infatti, gli ammortizzatori sociali un tempo previsti per casi del genere, non ci sono più. Ciò ha il sapore di una beffa, visto che questi lavoratori non possono usufruire nemmeno della Naspi, l’indennità di disoccupazione, poiché, formalmente, il loro rapporto di lavoro (con chi?) non si è interrotto.
Da quando è iniziata la crisi, non è che un susseguirsi di aziende che chiudono, licenziano, trasferiscono i propri operai. I sindacati non sanno far altro che avanzare proposte che non danno risposte certe e definitive per quanto riguarda la salvaguardia del posto di lavoro e del salario. A volte si trova il padrone disposto a rilevare la fabbrica in crisi, spesso con intenti speculativi, altre volte non si trova nemmeno quello. Talvolta si ottiene un prolungamento della cassa integrazione, come per Italiaonline (ex Pagine gialle) nei mesi scorsi. Si è visto però qual è stato il risultato per la Comital!
Pare che non si sappia far altro che cercare di guadagnare un po’ di tempo in attesa che il coniglio esca magicamente dal cappello del prestigiatore. Chissà se quel coniglio uscirà per i lavoratori dell’Embraco, i cui licenziamenti sono stati “congelati” fino a dicembre?! Qualche volta, e solo grazie alla lotta dei lavoratori, si riesce ad imporre il ritiro dei licenziamenti sostituendoli con trasferimenti in altre sedi dell’azienda che chiude o si ridimensiona, sedi spesso difficili da raggiungere. E’ una lotta che viene condotta nel totale isolamento, incapace di invertire davvero i rapporti di forza oggi nettamente favorevoli ai padroni.
La vicenda della Comital è emblematica anche sotto questo aspetto. Gli operai hanno lottato da soli, rinchiusi nei recinti aziendali, è mancato ciò che avrebbe potuto dar linfa alla loro mobilitazione, infondere loro più coraggio e fiducia. Non c’è stato, infatti, alcun coinvolgimento dei lavoratori di altre fabbriche in crisi, la conduzione della lotta non è stata affidata ad un comitato di sciopero eletto dagli operai, ma delegata alle direzioni sindacali, tanto meno si è creata una cassa di resistenza per sostenere la mobilitazione. Oggi, queste direzioni sindacali hanno chiesto alle istituzioni di trovare una soluzione al problema della mancata retribuzione degli operai. La Regione ha risposto che non ha fondi, le banche, che prima anticipavano la cassa integrazione, hanno detto che non possono far nulla, dal momento che questa è stata sospesa. Gli unici a farsi avanti sono stati i preti. La Curia, infatti, si è mossa cercando di raggranellare qualche soldo “per alleviare le sofferenze dei lavoratori della Comital”. Purtroppo, non sarà la carità cristiana a fornire i mezzi per dare quella continuità alla lotta dei lavoratori che solo la solidarietà di classe può dare.
Corrispondenza da Torino