Chiusura di aziende, licenziamenti e più sfruttamento. La ripresa c’è solo per i profitti
Non passa giorno che economisti, giornalisti e commentatori televisivi ci riempiono le orecchie per assicurarci che ormai siamo usciti dalla crisi, individuando nel 2017 l’anno in cui siamo usciti dal lungo tunnel della depressione. La ripresa, a lor dire, è un dato di fatto, semmai si tratta di consolidarla con la solita ricetta dell’aumento di produttività. L’unico dato di fatto è, in realtà, la ripresa dei profitti proprio grazie all’aumento della produttività ottenuto licenziando migliaia di lavoratori e facendo lavorare quelli rimasti di più e in condizioni salariali e normative peggiori. È vero, anche per loro si può parlare di ripresa, ma solo per quanto riguarda le morti sul lavoro, che stanno aumentando tragicamente proprio come conseguenza dell’intensificazione dello sfruttamento, delle crescenti condizioni di precarietà e di ricatto nei posti di lavoro.
La nostra regione non sfugge a questa realtà, fatta di un quotidiano stillicidio di aziende che chiudono i battenti, licenziano e trasferiscono gli operai, anche quando fanno utili da capogiro. Il terziario, dai servizi al turismo, proprio quel settore che, secondo gli apprendisti stregoni al soldo della borghesia doveva garantire il futuro economico di un Piemonte postindustriale, lungi dal decollare, ristagna e si ridimensiona. Oggi, quegli stessi cialtroni, come se nulla fosse, cambiano profezia e si inventano un nuovo tipo di sviluppo, l’industria 4.0. In verità, di questo passo ci sarà l’industria 0.0.
Nessun settore è risparmiato da chiusure e ridimensionamenti: metalmeccanico, logistica, aziende di servizi. La Lear di Grugliasco, impresa dell’indotto Fca specializzata nella produzione di sedili per auto, in aprile ha annunciato il licenziamento di 26 lavoratori sui 170 in organico. Si accampa un calo di commesse come conseguenza della gravissima situazione in cui versano gli stabilimenti torinesi, e non solo, del gruppo capitanato da Marchionne, il cui futuro lavorativo è quanto mai compromesso. A quanto sta accadendo in Fca, abbiamo dedicato un articolo sempre su questo numero del giornale.
L’Embraco, azienda che produce compressori per frigoriferi e controllata dalla multinazionale Whirpool, a fine 2017 comunicava la volontà di procedere al licenziamento di 500 lavoratori e di chiudere lo stabilimento di Riva di Chieri (TO). Non aveva alcuna importanza il fatto che la divisione italiana avesse contribuito all’aumento delle vendite della Whirlpool con 1,3 miliardi di dollari. In aprile viene annunciata la cessione di Embraco alla giapponese Nidec Corporation, ad eccezione della fabbrica di Riva di Chieri (TO), per la quale si è continuato ad attendere potenziali acquirenti. Il mese successivo giunge la notizia che lo stabilimento dovrebbe essere acquisito dalla Venture Productions, azienda israeliana con capitale cinese, e dalla torinese Astelav, scongiurando così il licenziamento di 497 lavoratori. Tutti i posti di lavoro, al netto delle 70 uscite incentivate, dovrebbero essere salvi con gli stessi diritti e gli stessi salari. La riassunzione della maggior parte dei lavoratori avverrebbe, per di più, solo entro la metà del 2020. Il condizionale è d’obbligo, in quanto, al momento, non si è andati al di là delle “buone” intenzioni e delle dichiarazioni di intenti. Ricordiamo che solo dopo mesi di scioperi e presidi l’azienda ha accettato di congelare i licenziamenti della fabbrica torinese per tutto il 2018. Nulla, dunque, può indurre i lavoratori all’ottimismo e, soprattutto, a smobilitare.
La FedEx-Tnt, il colosso americano che si occupa di trasporti e spedizioni, in aprile ha deciso di licenziare 361 lavoratori e di trasferirne 115 in tutta Italia. Solo in Piemonte sono previsti 81 licenziamenti e 25 trasferimenti. La ristrutturazione decisa dalla multinazionale, che si accinge a diventare il gruppo di spedizioni più grande del paese, porterà all’inevitabile esternalizzazione dei lavoratori. Non importa se la Fedex, a due anni dall’acquisizione di Tnt, nella prima metà del 2017 ha accumulato ricavi per 16,31 miliardi di dollari e un utile netto di 755 milioni di dollari. La risposta dei lavoratori della filiale di Settimo Torinese non si è fatta attendere. Il 17 maggio partiva uno sciopero molto partecipato con cortei cittadini e presidi davanti alla fabbrica di Settimo e alla Prefettura di Torino.
Italiaonline, ex Pagine Gialle, il 6 marzo scorso annunciava 400 esuberi in tutta Italia, di cui 248 della sede torinese, destinata alla chiusura, e 242 trasferimenti nella sede di Assago (MI). La mobilitazione dei lavoratori, tuttora in corso con scioperi, cortei e presidi, ha costretto IOL a firmare, in aprile, un accordo con i sindacati ed il Ministero del Lavoro che prevede il mantenimento della sede torinese ed il dimezzamento degli esuberi. I licenziamenti, come per Embraco, restano congelati fino a dicembre 2018. Anche qui parliamo di un’azienda in ottima salute, con un utile netto di 24 milioni di euro nel 2017. Senza contare la recente decisione di IOL di elargire 6,7 milioni di euro nel prossimo triennio come incentivo alla “creazione di valore per gli azionisti”. Il danno e la beffa, dunque, per i lavoratori che rischiano il posto di lavoro.
Le vicende di queste aziende hanno un comune denominatore: utili giganteschi per i padroni, licenziamenti per gli operai. Perché allora continuare, come fanno le direzioni sindacali, in modo ostinato quanto inefficace, a rispondere azienda per azienda, spesso contrapponendo i lavoratori dell’una a quelli dell’altra? È incredibile come sia bastato raggiungere l’accordo che congelava i licenziamenti di Embraco per revocare lo sciopero provinciale dei metalmeccanici indetto per il 13 marzo scorso. Una decisione voluta per mostrare riconoscenza alla mediazione del ministro Calenda che, udite udite!, in un’assemblea dei lavoratori di Embraco ha indossato le vesti di intraprendente “sindacalista”. Quello sciopero poteva diventare un buon volano per una lotta in grado di unificare tutte le realtà lavorative in crisi, ridando fiducia ai tanti lavoratori che si sentono impotenti quando lottano nell’isolamento della propria azienda.
Corrispondenza da Torino