22.000 dipendenti destinati al licenziamento, 600.000 turisti lasciati senza garanzia di potere tornare a casa, questo è stato il risultato del fallimento del più grande operatore turistico in Europa.
La Thomas Cook è rimasta per mesi sull'orlo del fallimento, ma nonostante tutto ha continuato a vendere i suoi prodotti e a intascare centinaia di milioni di euro, sapendo bene in quale situazione le sue centinaia di migliaia di clienti rischiavano di trovarsi. Infatti, oltre quelli rimasti bloccati in qualche parte del mondo, ci sono tutti quelli che hanno pagato per un viaggio che non ci sarà e non sanno se e quando saranno rimborsati.
Questo risulta da una delle regole di base del capitalismo, vale a dire l'irresponsabilità degli azionisti in caso di problemi, che vale sia per i loro dipendenti che per i clienti e i debitori. Questo è il principio stesso delle società per azioni: in caso di fallimento, gli azionisti perdono il loro capitale e non sono responsabili né per i loro debiti né per la sorte dei loro dipendenti. Ma il caso Thomas Cook, ora pubblico, ha un impatto tale che giornalisti e specialisti preferiscono parlare delle "scelte sbagliate" dei dirigenti e della natura eccezionale di questo caso.
In un mondo dove imperano la competizione e la corsa al profitto individuale, questa società, come molte altre, scomparirà senza che siano gli azionisti a pagare il prezzo delle loro decisioni. Sono scomparsi 1,3 miliardi di sterline, ossia due miliardi di euro, di debiti accumulati, senza che si sappia chi ne ha beneficiato. Si sa invece che gli stipendi e indennità dovuti ai dipendenti non sono più a carico dell'azienda. Gli azionisti invece sono ormai liberi di volgersi verso altri affari.
P S