Sudan: l'ora dei massacri

Il 26 ottobre in Sudan, le Forze di sostegno rapido del generale Hemetti sono entrate nella capitale della regione del Darfur, El-Fasher, che assediavano da diciotto mesi, e hanno massacrato gli abitanti.

Da aprile 2023, il Sudan è in preda ad una guerra civile in cui si oppongono due capi militari, quello che viene chiamato Hemetti e il generale Al-Burhan, in lotta per il potere. Lo scontro tra questi due predatori ha già causato quasi 150.000 morti. Tredici milioni di uomini, donne e bambini, un quarto dei sudanesi, hanno dovuto abbandonare le loro case, braccati dagli assassini di entrambi gli schieramenti.

A El-Fasher, dopo aver affamato la popolazione isolandola dal resto del Paese con una cinta di sabbia, gli uomini di Hemetti sono entrati in città mitragliando gli abitanti dall'alto dei loro veicoli, violentando e uccidendo persino le occupanti di un reparto maternità. Hanno anche filmato le loro violenze prima di diffonderle su Internet per terrorizzare il resto del Paese. Si sono poi dedicati a una pulizia etnica, prendendo di mira le popolazioni non arabe contro cui conducono una guerra permanente. Sono gli eredi degli antichi cavalieri janjawid, milizie che avevano devastato la regione del Darfur una ventina di anni fa e sulle quali l'allora dittatore Omar Al-Bashir aveva fatto affidamento, equipaggiandole con armi moderne prima di inviarle a combattere nello Yemen.

Al-Burhan era a capo dell'esercito ufficiale quando, nel 2019, un potente movimento popolare, nato come protesta contro l'aumento del prezzo del pane imposto dal FMI, portò in pochi mesi alla destituzione di Omar Al-Bashir. I capi delle due fazioni dell'esercito, Hemetti e Al-Burhan, avevano preferito sbarazzarsi del dittatore contestato per non essere trascinati con lui. Inizialmente avevano ritenuto più prudente condividere il governo con alcuni civili che avrebbero dovuto rappresentare il movimento popolare, fermo restando che il vero potere sarebbe rimasto nelle loro mani. Poi, non appena lo hanno ritenuto possibile, i due capi militari hanno condotto una feroce repressione, con la quale hanno potuto annegare nel sangue la mobilitazione popolare, dopo di che non hanno tardato a saltarsi alla gola.

Da allora, tutto il Paese, una regione dopo l'altra, sta vivendo gli orrori della guerra. Lo scorso maggio, gli uomini di Al-Burhan hanno ripreso la capitale del Sudan, Khartoum, bombardandola senza limiti. Oggi sono quelli di Hemetti a conquistare El-Fasher.

Questo conflitto non sarebbe durato così a lungo, e con tali orrori, se non fosse alimentato dagli Stati confinanti, che conducono così una guerra per procura sulla pelle dei sudanesi. I combattenti di entrambe le fazioni non hanno alcun problema a riarmarsi presso i loro alleati. Gli Emirati Arabi Uniti forniscono alle Forze di sostegno rapido sofisticate attrezzature antiaeree e droni di fabbricazione cinese, nonché materiale prodotto da aziende francesi per equipaggiare i loro blindati. Hanno anche facilitato l'arrivo di mercenari colombiani, che hanno combattuto a El-Fasher. L'esercito cosiddetto regolare di Al-Burhan è invece rifornito dall'Egitto con aerei da combattimento e droni. Tutte le potenze regionali vedono affluire l'oro di cui il Sudan è ricco.

Le grandi potenze imperialiste, in particolare gli Stati Uniti, per il momento assistono all'aggravarsi di questa situazione drammatica, limitandosi a lanciare platonici appelli alla pace e a promulgare embarghi che sanno essere solo sulla carta. Non si tratta semplicemente di indifferenza o passività, ma di una politica. Stanno aspettando di vedere chi sarà il vincitore, o i vincitori, perché una nuova divisione del Sudan in due Stati, dopo quella che ha visto la nascita del Sudan del Sud, non è affatto da escludere. Queste grandi potenze non esercitano quindi alcuna pressione reale sui loro alleati nella regione, che si trovano in entrambi gli schieramenti, per indurli a smettere di alimentare il conflitto. Gli Emirati Arabi Uniti e l'Egitto sono tra i principali clienti delle industrie occidentali di armamenti e pedine troppo preziose nel gioco che gli Stati Uniti stanno conducendo nella regione perché questi ultimi rischino anche solo minimamente di metterli in difficoltà.

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