Stellantis Melfi: la necessaria ribellione

A Melfi per il momento si continuano a produrre la Fiat 500x, Jeep Compass e Renegade, in attesa della svolta all’elettrico dal 2024 con le nuova auto DS 7, poi nel 2025 la nuova Opel Manta e nel 2026 la Lancia crossover, tutte con motore Nidec M3, con una potenza da 125 a 150KW.

Lì si producono 410 auto a turno - in condizioni di lavoro subumane, tra picchi e sospensioni della produzione per motivi legati alla mancanza di parti componenti, e alla generale ristrutturazione per produrre auto elettriche - con l’escamotage delle “uscite incentivate’’, in poco più di un anno, oltre 1000 operai sono andati via, senza che si pensasse a una protesta da parte dei sindacati confederali, che infatti hanno firmato ben tre accordi per le uscite incentivate; altre centinaia li seguiranno e forse altri ancora. Il sistema è oramai rodato, si offre una somma di denaro per incentivare l’uscita, in un clima di velate minacce o pressioni costanti da parte dei capi. Chi ha lasciato, spiega un operaio non più giovane, ha pensato ai soldi, ma anche alla salute. Tra quanti hanno lasciato la fabbrica, pesava anche per una donna il fatto di non poter più conciliare il lavoro di cura per la famiglia con quello in linea, per cui l’uscita è diventata una scelta obbligata, oltre ai problemi di salute come lombosciatalgia, tunnel carpale o depressione.

Così, tra una proposta indecente e l’altra, quello di Melfi è diventato lo stabilimento dove, con maggior successo, è iniziata la grande dismissione operaia; dove si sono concentrate le ‘’buone pratiche’’ dei tagliatori di teste del gruppo, per facilitare una fuoriuscita ‘’dolce’’ del personale in esubero.

Le richieste del management non si fermano qui, bisogna, infatti, considerare la ‘’proposta indecente’’ di prolungare le ore di lavoro, 10-12 a turno, come se le attuali 7 ore e 45 non fossero già abbastanza per produrre danni alla salute psico-fisica, come dimostrano la diffusione e l’aumento di patologie invalidanti per i lavoratori del settore auto a livello mondiale.

Intanto, i sindacati confederali hanno nicchiato, qualche volta si sono spinti fuori dalla zona di conforto con dichiarazioni che diventavano tanto più belligeranti quanto più nei fatti si accettava il piano padronale. Quando le previsioni sui tagli sono aumentate fino a 3000 persone, con ricadute rilevanti sull’indotto, stime recenti parlano di ben 11mila posti di lavoro in meno, i politici regionali, i sindaci e l’immancabile carrozzone dei sindacalisti di professione hanno dato vita al solito vaniloquio, per elemosinare nuovi interventi economici statali e rilanciare l’occupazione.

Ora che il male è fatto, l’unico modo per invertire la rotta è quello di ribaltare i rapporti di forza e questo può avvenire solo con le mobilitazioni e le lotte in difesa dei luoghi, delle risorse locali e delle vite di quanti, ogni giorno, finiscono al lavoro in una delle tante fabbriche penitenziario. D’altra parte, già nei mesi passati, in diverse fabbriche come Pomigliano, Melfi, Mirafiori, ci sono stati blocchi spontanei e scioperi, legati alle condizioni di lavoro, all’aumento del dispotismo aziendale, all’impossibilità di sostenere a testa bassa quel regime produttivo e dall’altra c’è chi ha intrapreso la via dell’esodo, per ritornare a vivere fuori dai cancelli, lontani dai turni massacranti e dal ‘’regime’’ di fabbrica.

Corrispondenza Melfi