Era il 12 d'aprile 2024 la data da cui s'era preso commiato dopo un giornata di sciopero di otto ore con tanto di manifestazione e presenza in campo largo di tutte le sigle sindacali del settore automobile collegate a Stellanttis. Molti operai sono stati testimoni degli eventi come entusiasti aderenti allo sciopero quanto perplessi partecipanti alla manifestazione di Torino.
Sarebbe il caso di fare domande ai sindacati firmatari presenti sul palco beatamente garruli e con cipiglio un tantinello forzato a gridare "W l'unità sindacale", perché loro dell'attuale situazione ne sono tra i principali artefici. In fondo l'amministratore delegato, dopo aver gentilmente declinato per anni l'invito a prendere anche soltanto un tè con biscotti insieme agli scendileletto aziendali, s'era finalmente degnato di palesare la sua esistenza proprio qualche giorno prima. Sarebbe stata oltremodo sgarbata ogni richiesta per fargli cacciare qualche soldo!
È stato senz'altro un bene che sciopero e manifestazione abbiano avuto successo, peccato che nelle settimane successive, nonostante i bellicosi appelli sindacali inneggianti al "non finisce qui" abbia fatto seguito il silenzio in fabbrica. Silenzio riguardo agli scioperi spontanei a Cassino, silenzio riguardo alla Cig e all'enigmatica messa in pratica del contratto di solidarietà in Carrozzeria e Presse, silenzio assordante rispetto ai fatti di Gaza, gravissimo che in fabbrica non se ne parli.
Con il titolo “difendiamo il nostro salario”, un volantino firmato “Operai Stellantis Mirafiori e Mopar Rivalta” scriveva nei giorni successivi:
“Il 12 aprile abbiamo scioperato in difesa delle nostre condizioni di vita e di lavoro ed eravamo in tanti. Siamo scesi in sciopero consapevoli che nessuno si salva da solo, che l'unica arma che abbiamo è l'unità dei lavoratori, e anche consapevoli che i nostri nemici non sono i nostri compagni di lavoro degli altri stabilimenti in Italia e nel mondo, con loro dobbiamo organizzarci contro il comune avversario.
Ovunque i grandi gruppi industriali e finanziari aumentano i loro profitti a scapito delle condizioni di vita e di lavoro, l'Italia e Stellantis non fanno eccezione. Stellantis rappresenta il quarto gruppo automobilistico mondiale, con 18,6 miliardi di utile nel 2023, con un dividendo per gli azionisti -tra i primi la famiglia Agnelli-Elkann- di 6,6 miliardi di Euro. Questa ricchezza che abbiamo prodotto deve servire a far vivere tutti i lavoratori e le loro famiglie. Il Premio di Risultato ricevuto con lo stipendio di aprile ci viene presentato come un aumento salariale consistente, si tratta in realtà di un'elemosina. (...)
A Cassino il 21 e 22 maggio ci sono stati due giorni di sciopero con corteo interno contro l'intensificazione dei ritmi e dei carichi di lavoro, la decisione aziendale di passare al turno unico con una perdita salariale consistente per i lavoratori, tutto questo mentre un'altra parte è in contratto di solidarietà.
Cassino, Mirafiori, Termoli, Pomigliano e in tutti gli stabilimenti Stellantis la ricetta padronale è sempre la stessa: far pagare i lavoratori per massimizzare i profitti. Lo stesso vale per i lavoratori dell'indotto e delle ditte in appalto che ancora di più subiscono questa situazione. Le vertenze e gli scioperi vanno unificati:
- Aumenti salariali adeguati al costo della vita;
- Mantenimento del salario al 100% per tutti i lavoratori in cassa-integrazione, in contratto di solidarietà e licenziati;
- Accompagnamento alla pensione con garanzia del salario pieno di tutti i lavoratori con patologie invalidanti, per i lavoratori ormai in età pensionabile, usurati dopo una vita di lavoro in fabbrica;
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Riduzione dell'orario di lavoro a parità di salario, ripartizione del lavoro tra tutti e tutte.
Intanto i lavoratori continuano a cercare di reagire nonostante tutte le difficoltà. Martedì 30 luglio i lavoratori del reparto Edct, il nuobo cambio ibrido, hanno scioperato contro condizioni di lavoro al limite della sopportazione, costretti a fare i 18 turni con grandi problemi di organizzazione del lavoro. Le pause non vengono rispettate, i carichi di lavoro sono pesanti e molto pesa l'atteggiamento intimidatorio e repressivo dei capi. Per di più la mensa è lontana, ci vogliono 10 minuti per raggiungerla su 30 di pausa mensa. Ci si è aggiunto anche il caldo e i lavoratori hanno detto basta!
Corrispondenza Torino