Alla Casa Bianca da cinque mesi, Joe Biden dice di volere far ripartire l'economia americana con piani ambiziosi. Afferma che il finanziamento dei trilioni di dollari di spesa pubblica sarà basato su aumenti delle tasse sui ricchi.Promesse che sono bastate per alimentare, in Europa,un'ondata di entusiasmo per questo nuovo presidente democratico che farà pagare i milionari e sta portando gli Stati Uniti a sinistra.
In realtà i suoi discorsi sono in gran parte dichiarazioni di intenti. È vero che sono anche in qualche modo un'ammissione dei fallimenti del capitalismo americano e globale. Per decenni nel paese più ricco del mondo non ci sono stati gli investimenti necessari nelle infrastrutture: le strade, i ponti, il sistema scolastico pubblico, l'assistenza sanitaria, e tante altre cose necessarie alla vita delle popolazione avrebbero bisogno delle enormi somme che si stanno accumulando sui conti di Jeff Bezos, Elon Musk e altri miliardari.
È possibile che alla fine il governo federale degli Stati Uniti decida finanziamenti importanti per colmare almeno una parte di questo ritardo, e come conseguenza di creare posti di lavoro in alcuni settori. Ma se lo Stato, come ha fatto in Europa dopo la seconda guerra mondiale, si sostituisse ai capitalisti per l'investimento nelle infrastrutture, questo non sarebbe socialismo o comunismo, ma solo statalismo per evitare che i capitalisti si debbano impegnare in investimenti pesanti, e per permettere loro di dedicare il proprio capitale a investimenti redditizi a breve termine.
Di più: tra le intenzioni dichiarate di Biden e ciò che sarà in grado di realizzare, ci sarà un divario, addirittura un abisso. Non è il presidente degli Stati Uniti che può decidere sul bilancio federale, ma il Congresso. I senatori repubblicani sono alla pari con i democratici al Congresso, e possono ostacolare molte decisioni dicendo che il denaro sarebbe meglio speso altrove, per esempio arricchendo direttamente i gruppi affaristici a cui sono più vicini.
Con l'annuncio di grandi spese statali, Biden ha iniziato un processo di negoziazione con i repubblicani, con i quali alcuni deputati democratici sono d'accordo, che vogliono ridimensionare i suoi piani iniziali. Ha già fatto delle concessioni, abbandonando la sua promessa elettorale di aumentare il salario minimo federale a 15 dollari l'ora. Sicuramente rinuncerà ad altro in cambio dei voti di alcuni repubblicani.
Per quanto riguarda la proposta di raddoppiare le tasse sui redditi da capitale, con l'aumento della loro percentuale dal 20% al 39,6% per coloro che guadagnano più di 1 milione di dollari l'anno, è poco probabile che il Congresso la accetti. Anche l'accordo internazionale annunciato per tassare le multinazionali sarà difficile da applicare.
Nel frattempo, nell'ultimo anno fiscale, 55 delle più grandi aziende che hanno segnalato i profitti alle autorità fiscali statunitensi non hanno pagato alcuna tassa su di essi. Questo è vero, negli ultimi tre anni, per 26 di loro, i cui profitti combinati ammontavano a 77 miliardi di dollari. Molti di loro hanno anche ricevuto dal fisco assegni per un totale di 3,5 miliardi di dollari. Tutto questo è il risultato delle esenzioni fiscali decise dal Congresso nel corso degli anni.
I problemi della società non si riducono a quelli della cosiddetta "giustizia fiscale". Quale giustizia ci si può aspettare da una società basata sullo sfruttamento? Tassare i capitalisti non elimina il loro potere di nuocere. Non toglie loro il potere di sfruttare i lavoratori, di schiacciare i salari, di imporre ad alcuni condizioni di lavoro sempre più difficili e di licenziare altri. Non toglierà loro il diritto di dominare la società dall'alto del loro capitale e della loro proprietà privata. Più ancora che far pagare la borghesia, è necessario toglierle le redini della società, rovesciarla, toglierle il potere espropriandola.
L D