Spagna - La collera cresce contro la “riforma del lavoro”

Alla pari dell’Italia, una riforma del diritto del lavoro è in corso in Spagna. Ma come ha testimoniato lo sciopero generale del 29 marzo, che è stato un successo in tutto il paese, la collera cresce tra i lavoratori contro questa “reforma laboral” con cui governo e padronato intendono innanzitutto rendere i licenziamenti più facili, e questo in un paese dove il tasso di disoccupazione è già ben oltre il 20%.

Tutti i settori hanno largamente partecipato allo sciopero, e innanzitutto la grande industria. Gli ambienti del governo e del padronato hanno avuto un bel affermare che il movimento era stato seguito solo "moderatamente", i fatti dimostrano che centinaia di migliaia di lavoratori hanno colto l'opportunità di questa giornata di lotta per esprimere il loro rifiuto della disoccupazione, dei bassi salari e dell'austerità.

In Galizia, al Nord del paese, l'insieme delle grandi imprese erano paralizzate, i porti e le raffinerie erano fermi. Quel giorno, nella fabbrica di Vigo della PSA (gruppo Peugeot) la produzione non ha neppure cominciato, essendo il 90% degli operai in sciopero. A Barcellona l'80% delle maestranze di aziende quali la Seat o la Nissan si sono fermate. A Valencia gli operai della Ford hanno scioperato numerosi e organizzato un grande corteo. A Siviglia i trasporti, il settore industriale, l'edilizia sono stati i più coinvolti. Sin dall'alba picchetti di sciopero sindacali controllavano l'accesso alle zone industriali, il che permetteva ai lavoratori di non raggiungere il posto di lavoro nonostante le minacce di padroni che avevano avvertito: “se sei assente giovedì, inutile tornare venerdì". Nei trasporti l'attività si è ridotta ai servizi minimi e così è stato per l'insieme dei servizi pubblici.

In tutte le città del paese si sono svolte manifestazioni molto partecipate. Le strade e le piazze si sono riempite di scioperanti, pensionati, giovani, disoccupati, ma anche di lavoratori di piccole aziende la cui situazione di precarietà è tale che non osavano scioperare ma intendevano aggiungere la loro voce alla protesta.

Così il governo conservatore di Rajoy, capo del Partito Popolare che ha vinto le elezioni dell'autunno scorso, è già stato sconfessato appena cento giorni dopo il suo insediamento. Il governo e i suoi portavoce hanno provato a sminuire l'importanza di questa giornata, che invece ha contribuito a rialzare il morale di numerosi lavoratori e militanti, e di tutti quelli che vogliono dare una battuta d'arresto alle misure del governo e del padronato. Il relativo scacco elettorale del Partito popolare alle elezioni del 25 marzo per il Parlamento di Andalusia era stato per lui una prima sberla politica. Il successo di questo sciopero generale ne è stato un'altra.

Tuttavia il governo intende mantenere il suo orientamento e ha annunciato che la riforma del diritto del lavoro sarà varata senza discussione con i sindacati, tranne su alcuni particolari. All'indomani dello sciopero, la destra al potere ha deciso di fare votare una legge finanziaria che riduce le spese pubbliche di 27,3 miliardi di euro e aumenta le tasse per fare passare il disavanzo dello Stato dal 8% al 5,3% del Pil. Questi tagli sono già stati applicati alla sanità e alla pubblica istruzione. Rajoy e la sua squadra di governo vogliono tagliare tutto il possibile sui rimborsi di cure, e anche aumentare il gas del 7% e l'elettricità del 5%. Si tratta ovviamente di un'austerità a senso unico, poiché al tempo stesso hanno promesso un'amnistia fiscale, in cambio di una tassa del 10% per quelli che accetteranno di riportare in Spagna i loro capitali evasi nei paradisi fiscali.

Le due principali confederazioni sindacali, CCOO (Commissioni operaie) e UGT che avevano lanciato questo sciopero generale chiedendo che la riforma del diritto del lavoro fosse oggetto di negoziazioni, hanno quindi ricevuto dal governo un rifiuto secco. Adesso propongono di organizzare una nuova giornata di sciopero nelle prossime settimane. Il sindacato CGT (di tendenza anarchica) così come altri sindacati minoritari chiamano anche loro a proseguire il movimento. Tutto lascia prevedere che un nuovo appello all'azione sarà molto seguito. Infatti il moltiplicarsi dei licenziamenti, delle chiusure di fabbriche, degli sfratti, l'esplosione del numero dei disoccupati che non hanno più diritto ad alcun indennizzo, l'insopportabile miseria alla quale un numero crescente di famiglie vengono condannate, fanno sì che la collera si accumuli e tenda ad esplodere.

L’unica prospettiva offerta dai dirigenti delle confederazioni sindacali maggioritarie è di chiedere che ci sia una negoziazione su questa riforma del diritto del lavoro che dalla A alla Z è fatta per rendere i licenziamenti più facili e meno costosi per il padronato. Ma non c'è niente da negoziare, e questa riforma è da buttare nel cestino. In Spagna come negli altri paesi d'Europa i lavoratori non hanno altra scelta che di creare con le loro lotte un rapporto di forze che possa costringere il padronato, i capitalisti e i governi al loro servizio a dare ai lavoratori un posto di lavoro e un salario decenti. Per il suo successo lo sciopero del 29 marzo e le manifestazioni hanno rialzato il morale a molti lavoratori. Bisogna adesso andare verso le prossime tappe della risposta.

HG