Soldi a chi ?

Gli ultimi numeri che sono stati pubblicati, quelli dell’ufficio studi della Uil, parlano di 557mila posti di lavoro “bruciati” nel giro di un anno in Italia, tra il giugno 2008 e il giugno 2009. Un numero che esprime la differenza tra assunti e licenziati nel corso del periodo preso in esame. A questi bisogna aggiungere i 470mila posti a rischio, cioè quelli di lavoratori in cassa integrazione. Il Fondo Monetario Internazionale prevede un tasso di disoccupazione al 10,5% per l’Italia nel 2010.

In questo quadro è normale che cresca la miseria. Il recente rapporto annuale della FAO parla di un aumento mondiale della povertà e ci dice che questo non riguarda più solo i paesi poveri ma anche quelli ricchi, dove la popolazione con problemi di insufficienza alimentare è aumentata del 15%. In Italia tre milioni di persone sono sotto la soglia della povertà alimentare, secondo un’indagine sponsorizzata, tra gli altri dal gruppo Intesa San Paolo e dall’Università Cattolica.

Che fare? Il ministro Sacconi, a nome del governo, assicura da tempo che nessuno sarà lasciato a se stesso. Ma i provvedimenti governativi, compresa la cassa integrazione in deroga, sono davvero poca cosa di fronte alla drammaticità del presente e, ancora di più, del prossimo futuro. Si tratta della possibilità di condurre una vita appena decente per milioni di persone; per molte altre, come è stato scritto da fonti non sospette, si tratta della sopravvivenza.

Una situazione che richiede, come può constatare ogni persona assennata, misure incisive e ad effetto immediato. Invece, pur riconoscendo a parole l’urgenza di una qualche forma di reddito garantito per gli strati sociali più colpiti dagli effetti della crisi, le colonne dei giornali e i dibattiti televisivi sono pieni di personaggi che gareggiano nell’ammannire e propinare ricette per la “ripresa economica”. Tutte, ben inteso, finanziate con i soldi dello stato. Si tratti di esponenti del governo o dell’opposizione, di economisti o di grandi manager, di banchieri o di sindacalisti, quello che unisce tutti è una concezione di fondo: prima si danno, in un modo o nell’altro, soldi alle imprese, poi queste si rimettono in piedi “generando ricchezza” e, come conseguenza, si avrà il riassorbimento della disoccupazione e nuovo reddito per i lavoratori.

Una bella favola; peccato che nessuno sappia dire in quanto tempo verrebbe riassorbita la disoccupazione, anche ammesso che le cose andassero veramente così, cioè che le imprese investissero i finanziamenti pubblici in ricerca e macchinari invece che in speculazioni finanziarie. Sarebbe una novità, visto che hanno già ricevuto fiumi di miliardi per decenni e questo non solo non ha impedito la crisi ma ha contribuito a farla precipitare.

In ogni caso, anche i più ottimisti riconoscono che l’eventuale ripresina non riuscirà a fermare l’emorragia di posti di lavoro. Nel frattempo la miseria incalza. Già travolge, come si è visto, milioni di persone, mentre bussa alle porte di tanti altri che fino ad oggi se ne erano creduti immuni.

Di fronte alla gravità di questa situazione, i lavoratori non hanno alcun interesse a seguire i vari profeti della ripresa dell’economia capitalistica. Meglio ancora: non ne hanno il tempo.

La necessità di un reddito che consenta di vivere si traduce in una rivendicazione generale: salario minimo vitale garantito per tutti. Sia aumentando l’indennità di disoccupazione e la cassa integrazione, sia eliminando ogni limite di durata alla loro erogazione.