Ogni giorno si aggiungono nuove vittime al lungo elenco di tutti quelli che il regime di Bachar Al Assad ha già uccisi, feriti o arrestati dall'inizio della rivolta nel febbraio del 2011, dimostrando che intende mantenersi al potere ad ogni costo.
Decenni di dittatura hanno alimentato la sete di libertà che oggi si esprime in Siria. Negli ultimi anni il settore statale è stato smantellato a vantaggio di una borghesia che ostenta un lusso provocatorio per una popolazione di cui almeno il terzo vive sotto la soglia della povertà. Due milioni di persone non hanno mezzi sufficienti alla propria alimentazione, un milione di braccianti non ha alcun diritto e lo sciopero è vietato dal 1985.
Ma la politica delle grandi potenze rispetto alla crisi siriana non aiuta per niente il popolo di questo paese. Il "piano di pace" elaborato dall'Onu, che si è tradotto sul posto con lo spiegamento di 400 osservatori si è rivelato un'ipocrisia. Si punta il dito verso Russia e Cina che sostengono il regime siriano, ma questi due regimi sono solo un po' meno ipocriti delle grandi potenze occidentali che anche loro in passato si sono sempre appoggiate alla dittatura siriana perché faccia la sua parte nel mantenimento dell'ordine imperialista nella regione. Ritenevano molto utile il ruolo di fattore d'ordine giocato dalla Siria nel Medio oriente, tra l'altro nel Libano dove durante la guerra civile nel 1976 le truppe siriane erano intervenute per impedire ogni contestazione del potere della borghesia libanese e degli equilibri regionali.
Come Russia e Cina, le grandi potenze potrebbero benissimo continuare a collaborare con Assad. Ma devono tener conto dell'opinione pubblica, occidentale e araba, commossa dalla repressione attuata dal regime, e non vogliono più apparire insensibili come era il caso durante i primi mesi della repressione.
Ecco perchè queste grandi potenze che da sempre hanno collaborato con il regime di ferro del clan Assad, al potere dal 1970, ormai lo condannano. In realtà ciò che li preoccupa non è la sorte della popolazione, priva delle libertà e dei diritti più elementari da decenni, ma di preservare i loro interessi se alla fine la dittatura finisse per cadere. Bisognerà allora almeno potere dire che avevano preso le distanze con questo regime, come hanno fatto nel caso della Tunisia e dell'Egitto dopo anni di collaborazione con Ben Ali e Mubarak.
D'altra parte la Siria non è la Libia e le grandi potenze escludono un intervento armato diretto in cui le loro truppe sarebbero rapidamente impantanate. La loro influenza trova una forma mediata di espressione attraverso potenze regionali come l’Arabia Saudita e il Qatar, regimi dittatoriali improvvisamente scopertisi “amici della democrazia” e preoccupati di difendere i diritti del popolo siriano. Probabilmente fanno già arrivare armi agli insorti dell' Armata Siriana Libera. All'occorrenza questi regimi sono interessati all'eventuale sostituzione di Assad con un potere che sia meno amico dell'Iran e sia più vicino a loro. Ma come un tale regime potrebbe rispondere alle aspirazioni della popolazione?
Il popolo siriano non ha alcun alleato tra tutti questi Stati che oggi denunciano il regime di Damasco con cui collaboravano l'altro ieri. Gli rimane la sola scelta di contare sulla propria lotta contro la dittatura, pur dura che sia. Il cosiddetto aiuto che le grandi potenze e gli Stati vicini gli potrebbero portare sarebbe all'opposto delle sue aspirazioni democratiche e sociali. Solo nel proprio seno può trovare la forza e i mezzi di abbattere questa dittatura e di instaurare poi un potere che rappresenti veramente le aspirazioni dei lavoratori e delle classi popolari.
J. F.