Dopo che il regime siriano di Bashar al-Assad è stato accusato di avere condotto, sabato 7 aprile, un attacco chimico nella regione della Ghuta, presso Damasco, i dirigenti occidentali si sono dichiarati a favore di una “risposta ferma„. Il 14 aprile gli Stati Uniti e al loro seguito la Francia e la Gran Bretagna hanno bombardato alcuni siti in Siria col pretesto di distruggere l'arsenale chimico del regime.
Un intervento militare che, per quanto giustificato con motivazioni umanitarie, non ha niente a che vedere con la preoccupazione per le sorti della popolazione. Con o senza armi chimiche, il regime siriano ha già dato prova di essere pronto a massacrare popolazioni civili in questa guerra che va avanti dal 2011 ed ha fatto finora più di 350.000 morti. Del resto, non è stato l'unico. Dall'inizio di questa guerra, gli Stati Uniti hanno certamente criticato la dittatura di Assad, ma hanno anche mostrato che erano pronti a rassegnarsi al mantenimento del suo potere, in particolare quando hanno fatto della guerra all'Isis la loro priorità. E quando sono i loro alleati che massacrano le popolazioni, come fa l'Arabia saudita nello Yemen, non hanno neanche una parola di critica.
Ma la sconfitta dell'Isis ha creato una situazione nuova che è lungi dal soddisfare i dirigenti americani. Grazie all'appoggio della Russia e dell'Iran, il regime di Assad ha vinto non solo l'Isis, ma anche le milizie sostenute dall'Arabia Saudita, che occupavano la Ghuta. Insoddisfatta dell'appoggio americano ai curdi, la Turchia si è avvicinata recentemente alla Russia. Così, il 4 aprile, si era tenuto un vertice che riuniva, ai lati del presidente turco Erdogan, Putin ed il presidente iraniano Hassan Rohani, per discutere della soluzione del conflitto siriano senza nessuna partecipazione occidentale.
Non è quindi un caso se questi interventi militari si verificano in questo preciso momento e mentre il regime siriano riesce finalmente a controllare la maggior parte del suo territorio. Il principe saudita Mohammed Ben Salman ha visitato recentemente Stati Uniti e Francia per chiedere un sostegno al momento in cui perdeva una delle sue ultime possibilità di influire sul futuro della Siria. Anche gli Stati Uniti e le altre potenze occidentali rischiano di non potere più avere un ruolo in questo paese, mentre considerano che comunque lo devono avere.
Trump che, alcuni giorni prima, aveva dichiarato il suo desiderio di evacuare le truppe americane della Siria, improvvisamente ha dunque cambiato parere, non solo per fare piacere al suo protetto saudita ma per provare a salvaguardare gli interessi dell'imperialismo americano nella regione. Per i dirigenti occidentali, si tratta di affermare che non accetteranno una soluzione politica che sia negoziata senza loro. La loro indignazione, che si basa sul pretesto dell'uso di armi chimiche e sul rispetto di un diritto internazionale che sono i primi ad infrangere, non mira affatto a difendere la popolazione siriana, né a porre fine alle sue sofferenze e alla guerra che dura da sette anni. Vogliono solo continuare ad imporre la loro partecipazione all'ignobile partita a scacchi che si gioca là con il sangue delle popolazioni.
M. R.