Un mese di fermata forzata (ferie e cassa integrazione) dal 1 al 28 agosto, alla Lucchini di Piombino. Non si ferma solo la produzione, ma anche ogni reazione alle ultime notizie. Ai primi di agosto, infatti, torna del tutto aleatorio l’accordo con le Banche per la ristrutturazione del debito di 770 milioni della Lucchini, raggiunto solo il 6 luglio scorso.
A giudicare dalla fonte di Confindustria, la lettura dell’articolo del Sole 24 Ore del 3 agosto sul futuro della Lucchini non è molto incoraggiante. Il titolo “Piombino guarda oltre l’acciaio”, e il testo, tutto un programma di futuri porti turistici da mega yachts, aumento dei traffici commerciali, nautica e turismo, suonano a metà tra il campanello d’allarme e la campana a morto per gli stabilimenti siderurgici di Piombino.
Tutto giugno era passato nell’incertezza, nell’attesa del termine ultimo del 24, fissato dal sottosegretario allo Sviluppo Economico Stefano Saglia, per consentire alle banche e all’azienda di raggiungere l’accordo sul debito: un debito consistente, 770 milioni, che la proprietà aveva intenzione di risolvere con alcuni prestiti ponte, e la cessione delle centrali idroelettriche di Ascometal, una sua controllata, a una società svizzera. Da quest’ultima operazione sarebbero dovuti arrivare 50 milioni, che avrebbero costituito una parte del prestito, da depositare nelle casse dell’azienda a fine luglio. Tutti i commenti di giugno, vuoi dei sindacati, vuoi delle istituzioni, si potevano riassumere nella dichiarazione: “Siamo nelle mani delle Banche”, senza consenso delle quali si sarebbe aperta l’ipotesi dell’amministrazione controllata e di un futuro incerto.
Il 20 giugno i lavoratori di tutto il Gruppo Lucchini, nei vari stabilimenti di Piombino, Trieste, Condove, Lecco e Bari, avevano scioperato per due ore, ma il 24 giugno era passato con un nulla di fatto, con un paio di banche per nulla intenzionate ad accettare la ristrutturazione finanziaria, e poi con Mediobanca che aveva presentato una certa disponibilità. Alla vigilia del 24, anche una delegazione di lavoratori piombinesi aveva seguito Sindaco e sindacati confederali a Milano, per un presidio davanti a Mediobanca. Ma nonostante il rischio reale, non era stato facile costituire la delegazione e coinvolgere gli operai. Sulla riunione del Consiglio di fabbrica del giorno prima, le cronache dei giornali hanno reso un clima teso e pochissimo ottimismo, e buona parte della discussione incentrata sulla scarsa partecipazione alle assemblee e alla mobilitazione.
Il rappresentante di zona della Cgil lamentava di non poter andare a Milano in quattro gatti, stante il rischio enorme corso dallo stabilimento, quello della Uil dubitava di riuscire a mettere insieme una delegazione visibile. Comunque sia, delegazione è stata, ma l’accordo sul debito in quell’occasione non si è trovato. Il nulla di fatto però aveva rimandato i termini al 6 luglio. Nel frattempo le iniziative non sono state eclatanti, ma c’è stata almeno la proclamazione di uno sciopero di 2 ore, indetto per il 4 luglio, con manifestazione per le vie cittadine; nel corteo, qualcuno aveva proposto di portare la protesta al porto, di coinvolgere il sistema dei trasporti, un punto nevralgico al centro degli spostamenti estivi. Ma chiaramente le energie non sono state sufficienti, e ci si è limitati a una forma di protesta la cui efficacia non è dimostrata, ma che ha ormai una larga diffusione: tre operai sono saliti su un silos, per calare uno striscione di protesta. Due operai Lucchini, uno dei quali rappresentante RSU, avevano anche cominciato uno sciopero della fame, in vista della scadenza del 6 luglio.
Il 6 luglio, in extremis, era stato trovato l’accordo con le Banche, che sembrava evitare il rischio di commissariamento, e garantiva la liquidità necessaria a mandare avanti la fabbrica. Ma il 3 agosto, a fabbrica praticamente ferma e nel pieno di una nuova tempesta finanziaria mondiale, il Governo francese ha bloccato la vendita delle quatto centrali Ascometal, considerandole parte del patrimonio Ascometal, a sua volta già impegnato per la cessione a un fondo americano.
Al momento in cui scriviamo, appurato che non è chiaro come e se la situazione debitoria potrà a questo punto sbloccarsi, non è nemmeno chiaro come (e se?) verrà organizzata la reazione operaia. Non è una questione secondaria. Forse non è abbastanza chiaro che i lavoratori non sono un semplice accessorio del problema, il cui unico ruolo è quello di aspettare le sorti del gruppo, nella speranza che sia ancora in condizione di garantire un lavoro. Gli operai sono un fattore determinante, e possono agire da protagonisti: con le loro lotte potrebbero essere in grado di determinare il futuro dello stabilimento, e in ogni caso il loro futuro. Le lotte operaie non sono episodi incidentali, che nella realtà non cambiano una virgola: le lotte operaie costituiscono la vera capacità di azione di un attore sociale fondamentale, la classe operaia, sono il suo linguaggio e la sua arma. E sono anche la sua unica possibilità: anche stavolta, l’unico futuro possibile si può conquistare solo lottando.