Un refrain della classe dominante, e certamente non solo quando governa la destra, è che in Italia “si sciopera troppo”. In realtà si sciopera troppo poco, come si sciopera troppo poco, dagli anni’70 in poi, in tutti i paesi più sviluppati.
Oggi sembra che ci sia stata una certa ripresa delle lotte. Ma quasi sempre si presentano come risposte tardive a chiusure di impianti o ristrutturazioni, con i licenziamenti che ne seguono. Quindi sono lotte isolate, alle quali, oltretutto, quasi mai le direzioni sindacali indicano la strada dell’unità tra lavoratori delle molte imprese in cui gli operai sono messi di fronte al fatto compiuto della cessazione delle attività e delle lettere di licenziamento.
In ogni caso, è difficile dire con certezza, quanto si sciopera in Italia. La statistica degli scioperi è straordinariamente carente. Questo tratto caratteristico della statistica del lavoro italiana era già lamentato nel 1893 da Francesco Saverio Nitti, futuro primo ministro del Regno, che scrisse: “Non ci sono buone statistiche degli scioperi italiani”.
Tuttavia, alcuni dati sono disponibili. Esiste, ad esempio, una serie storica elaborata dall’Istat che attesta un calo degli scioperi dell’80% tra il 1973 e il 2009. Un altro dato, riferito alle imprese con più di 250 dipendenti, ci dice che dal 2005 al 2022 si è passati da 30 ore di sciopero per 1000 ore lavorate a meno di 10.
C’è un rapporto diretto, facilmente comprensibile, tra diminuzione degli scioperi e peggioramento delle condizioni di lavoro. Pochi scioperi significano poca lotta, poca resistenza alle pretese padronali, quindi, bassi salari, numeri di infortuni e di morti sul lavoro altissimi, ritardo costante dei rinnovi contrattuali ecc. Dunque, per quanto le strilla del ministro Salvini contro gli scioperi si moltiplichino, bisogna che i lavoratori usino con la massima decisione l’arma dello sciopero per uscire dalla precarietà e dai bassi salari e, in generale, per ottenere rapporti di lavoro più giusti.r. c.