Quarant’anni fa l’autunno caldo

Un paese in veloce trasformazione

Fra la metà degli anni cinquanta e i primi anni sessanta, in meno di dieci anni, un impetuoso sviluppo trasformò la società italiana da società agricolo-industriale (ancora alla fine della II guerra mondiale i contadini erano la maggioranza della popolazione) a società industriale matura. Questa periodo ricordato come “miracolo economico” o “boom economico” sconvolgerà anche i rapporti sociali in tutto il paese. Alcuni scarni dati ci possono aiutare ad avere un’idea di quello che era successo: fra il 1951 e il 1961 la produzione industriale cresce del 120%, il reddito nazionale dell’80%, la percentuale degli adetti all’agricoltura calano dal 45% al 29% mentre gli adetti all’industria passano dal 30% al 40% e quelli dei servizi dal 25% al 31%. Dal 1955 al 1960 oltre otto milioni e mezzo di persone emigrano dal sud al nord e dalla campagna e dalle piccole città alle grandi città.

I prodromi dell’autunno caldo

Alcuni episodi avvenuti negli anni sessanta stavano già indicando, a livello di lotta di classe, che la situazione stava cambiando e che la giovane classe operaia aveva innestato nuova linfa alla “vecchia” classe operaia.

Questa “vecchia” classe operaia prima era stata costretta dallo stalinismo e dal padronato a ricostruire, con il suo sangue e con la sua fatica, il paese nel nome “dell’unità nazionale per essere poi isolata e soggiogata dall’offensiva padronale e dal supersfruttamento che aveva portato al “miracolo economico”.

Nel giugno 1962 alla Fiat di Torino, dove praticamente non si scioperava da anni, scoppia uno sciopero che coinvolge migliaia di lavoratori per il rinnovo del contratto. La direzione Fiat firma un accordo bidone con la UIL e il SIDA (un sindacato giallo, padronale) e inoltre proclama la serrata. La risposta dei lavoratori è una manifestazione sotto la sede della UIL in Piazza Statuto, la sede viene assalita dai lavoratori, seguono duri scontri fra polizia e operai FIAT in gran parte giovani e di origine meridionale affiancati da altri lavoratori anche questi in gran parte immigrati da poco nell a grande città indistriale.

Nel 1966 nasce durante uno sciopero il primo organismo di base operaio, il Consiglio di Fabbrica della Siemens di Milano. Osteggiato dai sindacati morirà dopo lo sciopero, ma questa questa eperienza stava a dimostrare come fra i lavoratori ci fosse la volontà di partecipare alla lotta eleggendo propri rappresentanti senza affidarsi ai burocrati sindacali. Queste spinte dei lavoratori per partecipare in prima persona alle lotte saranno esplicite durante tutto il 1968 alla Pirelli di Milano con la nascita del Comitato Unitario di Base, il CUB. Questo Comitato promosso dai lavoratori e militanti di estrema sinistra, alcuni provenienti da esperienze trotskiste, avrà un ruolo significativo nel promuovere le lotte in fabbrica pur dichiarando di non volere “assolutamente formare un nuovo sindacato o scavalcare i sindacati esistenti” ma di volere “la massima democrazia di base perchè tutto va creato nella lotta”.

Nel 1968 a Valdagno una cittadina del Veneto bianco che aveva ruotato sempre intorno all’industria tessile Marzotto, scoppiò improvvisamente la rabbia operaia. I lavoratori tessili vivevano in una condizione in cui accanto ad un paternalismo del padrone di stampo ottocentesco si affiancava uno sfruttamento selvaggio, anche questo di di stampo ottocentesco ma supportato da tutte le nuove tecniche dei tempi di lavoro e del cottimo nate nel XX secolo. Una vertenza sul cottimo iniziata dai sindacati con alcuni scioperi articolati si trasforma in breve tempo in sciopero generale e rivolta. Il 19 aprile la polizia inviata per fermare i dimostranti viene cacciata da questi e dalla popolazione della cittadina che è scesa in piazza protestare. Tutti i simboli e le proprietà dei Marzotto vengono distrutti fino ad abbattere la statua di Gaetano Marzotto il fondatore di una dinastia di padri-padroni che voleva occuparsi dei propri operai “dalla culla alla tomba” purché non si facessero “traviare” dalla lotta di classe.

Il clima stava veramente cambiando e questo fu ulteriomete evidente con l’esito dell’elezione delle commissioni interne alla Fiat nel dicembre 1968. Il sindacato padronale SIDA subirà una dura sconfitta, la UIL perderà la maggioranza assoluta, la CISL rimarrà sulle sue posizioni, la CGIL farà una grande, clamorosa avanzata. Ampi strati di lavoratori si erano ricollegati alla CGIL, l’unico sindacato che almeno formalmente si rifaceva alla tradizione della lotta di classe e che negli anni cinquanta durante la gestione Fiat di Vittorio Valletta alla Fiat era stato scardinato, ridimensionato, colpito con licenziamenti politici.

Il 1969 e l’autunno caldo

Già nella primavera del ’69 in centinaia e centinaia di fabbriche, grandi e piccole, si svolgono delle lotte, non coordinate ma su temi uguali: l’egualitarismo e l’antiautoritarismo in fabbrica.

L’autoritarsimo, o meglio la repressione, fuori dalla fabbrica ad opera degli organi dello stato d’altra parte non era mai venuto meno, è sufficiente ricordare che il 2 dicembre 1968 ad Avola in Sicilia la polizia spara ed uccide due braccianti in sciopero e pochi mesi dopo il 9 aprile sempre le forze dell’ordine uccidono due persone a Battipaglia in Campania mentre era in atto una sommossa contro la chiusura delle poche fabbriche esistenti in quella cittadina del sud.

Le fabbriche all’avanguardia in queste primi scontri di primavera sono le grandi fabbriche dove il numero dà più sicurezza e fiducia ai lavoratori. A fine giugno vi è uno sciopero alla Montedison di Porto Marghera, dopo un’iniziale diffidenza molti operai accetteranno la solidarietà degli studenti che erano accusati dai sindacati di “strumentalizzare lo sciopero a fini politici”. Lo sciopero procede a singhiozzo per fare al padrone più danno possibile al costo minore per i lavoratori. Questa dura forma di lotta non è accettata dai sindacati che però sono messi in minoranza dall’assemblea dei lavoratori. I sindacati disconoscono l’assemblea e proclamano uno sciopero “legale” cioè non a singhiozzo. Lentamente la protesta operaia che non aveva una direzione politica sarà incanalata nell’ambito del riformismo sindacale, mentre il Petrolchimico, il settore più all’avanguardia, rimarrà isolato e ridotto all’impotenza.

Nella primavera del ’69 anche la Fiat di Torino è in ebollizione. Il 22 marzo gli operai delle presse si autoriducono la produzione, è la prima volta nella storia della Fiat. L’11 aprile vi è uno sciopero totale degli operai Fiat che per la prima volta dopo vent’anni escono compatti in corteo dalla fabbrica. Alla fine di maggio per la prima volta dai reparti più combattivi parte un corteo interno che trascina nella lotta anche gli altri reparti ed operai più titubanti. I primi quindici giorni, a rotazione, tutti i reparti di Mirafiori sono in sciopero e la fabbrica rimane ferma mentre vengono eletti i primi delegati di squadra, ma sarà all’inizio del mese successivo che la lotta della Fiat si esprimerà ai livelli più alti. Per il 3 luglio il sindacato proclama uno sciopero generale contro il caro affitti, lo scopo dei sindacati è di riprendere in mano la situazione dopo settimane di lotte spontanee e scioperi a scacchiera alla Fiat e di indirizzare i lavoratori in una lotta tutta presa a premere sul Parlamento affinché si occupi della questione dei fitti. A Mirafiori la manifestazione si trasformerà in una battaglia di strada che durerà oltre dieci ore. Ai lavoratori della Fiat si associano i lavoratori dei comuni operai della cintura torinese e gli abitanti del quartiere Mirafiori che dalla finestre tirano oggetti di ogni tipo sulle forze dell’ordine. Gli scontri finiranno a notte fonda , 70 poliziotti ed molti manifestanti rimarranno feriti, 160 manifestanti saranno fermati e 28 arrestati. Dopo questo episodio le ferie estive, con la chiusura delle fabbriche, porteranno una tregua della lotta.

L’autunno coincideva con il rinnovo contrattuale per un gran numero di lavoratori, le direzioni sindacali si trovavano in una situazione delicata in cui rischiavano di essere superate e sovrastate dale lotte spontanee dei lavoratori. Il tentativo, alla lunga riuscito, della direzioni sindacali fu quello di incanalare le lotte operaie nella “battaglia per le riforme” facendo in modo che i maggiori beneficiari della energia operaia espressa fossero le direzioni sindacali stesse e i partiti riformisti. I successi elettorali del PCI negli anni settanta fu anche dovuto allo sfruttamento dell’onda lunga operaia seguita all’autunno caldo.

La ripresa del lavoro dopo la pausa estiva coincise con la ripresa degli scioperi. Già il 2 settembre uno sciopero blocca la Pirelli di Milano. Lo stesso giorno alla Fiat di Torino uno sciopero di due ore proclamato dai sindacati viene prolungato da alcune centinaia di operai di un settore della catena di montaggio, come conseguenza questa rimase bloccata a monte a e a valle. Migliaia di lavoratori vengono messi in libertà, è questa la risposta della direzione Fiat. Dal giorno successivo ad ogni astensione del lavoro, indipendentemente dal numero degli scioperanti, la Fiat risponde sospendendo i lavoratori che non scioperano ma che subiscono il blocco della catena di montaggio da parte degli scioperanti. In breve tempo 30.000 lavoratori vengono mandati a casa: una tattica semplice i lavoratori vengono messi gli uni contro gli altri in un momento in cui, le ferie sono appena finite e i soldi in tasca sono veramente pochi. Questo episodio diventa un’occasione di recupero per la burocrazia sindacale che riesce ad ottenere dalla Fiat il ritiro della sospensione in massa dei lavoratori e a isolare la “minoranza di operai estremisti che bloccando la catena di montaggio danneggiano tutti i lavoratori”.

Chiaramente il rinnovo dei contratti non interessa solo le grandi fabbriche come la Fiat e la Pirelli ma migliaia e migliaia di fabbriche di ogni dimensione.

Il 6 settembre sono in sciopero i metalmeccanici gli edili e i chimici. L’11 settembre i metallurgici e la Fiat è di nuovo bloccata. Il 16 settembre chimici cementieri e metallurgici delle industrie a partecipazione statale. Il 17 settembre ancora gli edili. Di nuovo i metallurgici dell’IRI il 19 settembre. Ad uno sciopero improvviso e totale alla Pirelli la direzione risponde il 24 settembre con la serrata. Il giorno sucessivo la risposta è lo sciopero generale a Milano che costringerà la Pirelli a fare marcia indietro. L’8 ottobre è in sciopero la Fiat Mirafiori. Il 9 ottobre sono in sciopero generale i lavoratori del Friuli, lo stesso giorno a Genova, uno dei poli siderurgici italiani, si svolge uno sciopero di decine di migliaia di metallurgici che sfilano per le vie della città. Gli scioperi si susseguano non solo a Milano e a Torino ma anche in cento altre città, a Roma, a Piombino, a Marina di Pisa, a l’Aquila, a Napoli dove il 16 ottobre scioperano 40.000 metalmeccanici. Il 17 ottobre vi è uno sciopero generale nazionale a cui partecipano milioni di lavoratori. Spesso i cortei di scioperanti si scontrano con reparti di polizia in assetto di guerra. A fine ottobre la lotta alla Fiat Mirafiori raggiunge dei livelli molto aspri, cortei interni cacciano i crumiri, la mensa viene devastata ed un centinaio di auto appena prodotte vengono distrutte. Nei giorni seguenti la Fiat denuncerà un centinaio di lavoratori. Il 6 novembre a Milano si scontrano operai e polizziotti durante una manifestazione contro le posizioni filopadronali della RAI-TV sulle lotte operaie, ci saranno una cinquantina di feriti.

Il 7 novembre i sindacati firmano il contratto degli edili e riescono a farlo approvare a questi lavoratori che raggiunto il loro “obbiettivo” economico perdono qualsiasi motivazione a continuare e generalizzare la lotta. È il primo contratto ad essere firmato, mano a mano verranno firmati tutti gli altri contratti. Il 13 novembre si trova un accordo per la Pirelli. Il 7 dicembre si firma il contratto dei chimici, l’8 dicembre quello dei metalmeccanici del settore pubblico infine, quasi a Natale, il 21 dicembre, in un clima politico ormai profondamente cambiato dopo la strage di Piazza Fontana, la firma del contratto dei metalmeccanici chiude “l’autunno caldo”.

Dal mese di novembre per chiudere la partita la borghesia italiana, sorpresa e spaventata dall’intensità delle lotte operaie, iniziò ad orchestrare una campagna di stampa contro gli “estremisti” e la avanguardie operaie più politicizzate. La prima occasione furono i fatti del 19 novembre in Via Larga a Milano quando in incidenti fra dimostranti e polizia morì l’agente Annarumma (secondo l’inchiesta ufficiale perchè colpito in testa con un tubo). La strage alla Banca dell’Agricoltura in Piazza Fontana a Milano esasperò ulteriormente la campagna di stampa. Furono incolpati gli anarchici uno di questi, Piero Valpreda, fu accusato di essere l’esecutore materiale, mentre un altro il ferroviere Giuseppe Pinelli morì volando da una finestra della questura di Milano.

Si chiudeva la stagione contrattuale, ma per ancora parecchio i livelli dello scontro di classe rimasero alti. Il risultati strappati furono miglioramenti di salario ed orario, un consistente aumento dell’agibilità politica e sindacale con la fine, almeno per qualche tempo, dello spietato autoritarismo padronale che avveva regnato dagli anni ’50 in ogni fabbrica. Un risultato che poteva essere ancora più consistente se la direzione sindacale non fosse stata in mano alla burocrazia riformista. Mai comunque le lotte del ’69 uscirono dai binari della rivendicazione economica, non ci fu una situazione “pre-rivoluzionaria” come molti a sinistra presi dall’entusiasmo delle lotte sostennero. Nonostante lo slogan “potere operaio” venisse urlato nelle manifestazioni dagli operai più radicalizzati e dagli studenti, mancavano le condizioni per per il rovesciamento della società: non vi era una crisi generale del capitalismo italiano che anzi era in pieno sviluppo, le istituzioni borghesi si dimostrarono solide e non subirono alcun collasso sotto i colpi della lotta, il riformismo riuscì a controllare la classe ed anzi riuscì a consolidarsi in realtà operaie dove era stato ridimensionato o adirittura cacciato negli anni ’50, non esisteva un partito rivoluzionario che guidasse i lavoratori verso la presa del potere.

I militanti che si formarono in quel periodo pur proclamandosi rivoluzionari erano molto lontani da avere posizioni marxiste-rivoluzionarie e gli anni successivi lo dimostrarono ampiamente.

La strada per costruire un’organizzazione indipendente e rivoluzionaria del proletariato per guidarlo verso il socialismo, a quarant’anni dall’esperienza dell’autunno caldo rimane ancora lunga e tortuosa.

M.F.