Quanto vale la vita se si perde lavorando

A fronte dei fiumi d'inchiostro sulla triste vicenda della giovane e bella madre ventiduenne ingoiata da un orditoio in una fabbrica del distretto tessile di Prato il 3 maggio 2021, poche e scarne righe e nessun rilievo nei telegiornali sulla sentenza con cui i due titolari della fabbrica se la sono cavata con condanne a due anni e un anno e mezzo di carcere; con la condizionale, naturalmente. Agire sul tasto emotivo per vendere giornali è facile, dar conto di cosa succede nel reale, meno. Il sistema giudiziario prevede pene irrisorie per la morte di chi lavora.

 

Quasi 700 morti da gennaio a settembre sui posti di lavoro producono sicuramente un diluvio di parole accorate, condanne inappellabili, sdegno illimitato. In occasione della settantaduesima edizione della Giornata Nazionale per le vittime degli incidenti sul lavoro (sotto l'Alto Patronato del Presidente della Repubblica!), l'Associazione Nazionale mutilati e invalidi sul lavoro ha diffuso i dati ufficiali dell'INAIL, che purtroppo non raccontano niente di molto diverso da quanto era stato registrato nelle settantuno edizioni precedenti. Se ci sono state cifre leggermente inferiori al 2021, questo è dovuto alla diminuzione dei casi di morte per Covid causati da infezioni sul posto di lavoro. Per contro, l'indignazione a parole e la condanna rituale sono invariati e unanimi, a partire dallo stesso Presidente della Repubblica (peraltro non il primo, si ricordano in proposito le ammonizioni dell'ex Presidente Napolitano all'epoca): "Si tratta di un fenomeno inaccettabile! Lavorare non può significare porre a rischio la propria vita!" per finire con i doverosi appelli dei Sindacati: "Siamo di fronte a una vera e propria strage, una situazione non più accettabile " (Maurizio Landini, segretario CGIL....Perché, c'è stato un tempo in cui si poteva accettare?) e "Il lavoro non può coincidere con le morti nei cantieri o sui campi o nelle fabbriche e non può essere fonte di malattie o infortuni" (Luigi Sbarra , CISL...Così, basta proclamarlo?...) e poi Pierpaolo Bombardieri, UIL: "Spesso non sono incidenti ma omicidi, perché dietro queste tragedie ci sono consapevoli irresponsabilità dettate dalla brama di profitto" (Omicidi di second'ordine, a quanto pare, se il profitto comanda).

Eppure negli ultimi trent'anni è stata costante la tendenza a depenalizzare i reati relativi agli incidenti sul lavoro, tanto da rendere difficile quando non impossibile una condanna pesante a fronte della gravità del reato. Appena cinque giorni dopo la celebrazione con le sue dichiarazioni altisonanti, la sentenza sul caso della giovane operaia riporta tutti con i piedi per terra. Per capire le motivazioni della sentenza con cui i titolari dell'azienda in cui ha perso la vita la ventiduenne hanno potuto usufruire di una pena mite bisogna sapere che in caso di condanna si può applicare una pena pecuniaria e anche sanzioni interdittive, tipo la sospensione o la revoca delle autorizzazioni, delle licenze, etc. La proposta di patteggiamento tra Procura e avvocati della difesa dei due titolari comportava come condizione l'esborso di un risarcimento agli eredi, erogato in questo caso dall'assicurazione Unipol: ovvero, pagando ci si può guadagnare un trattamento clemente. L'unico rinviato a giudizio con un regolare processo è il tecnico manutentore, che forse non poteva permettersi di pagare un risarcimento.

E' certo però che il macchinario andava alla velocità massima, con le protezioni disattivate e una sbarra che sporgeva in maniera non conforme, e nella quale si sono impigliati gli abiti dell'operaia. A quanto pare, secondo un controllo disposto dalla procura di Prato, il blocco del cancello di sicurezza dell’orditoio faceva aumentare dell’8% la produzione rispetto allo stesso orditoio con le protezioni inserite, ma non ci sarebbe stato guadagno per l'azienda perché si trattava di campionatura. (Il Fatto Quotidiano, 27.10.22) A occhio e croce, sembrerebbe perfino un'aggravante: se si può mettere a rischio la vita delle persone senza curarsi di conseguire un profitto, figuriamoci cosa succede in fabbrica quando l'obiettivo del profitto diventa consistente...Secondo la testimonianza della madre di Luana D'Orazio "Mia figlia mi diceva che lui - (il titolare della ditta) apriva le cabine e strappava i manuali [....] Un certo Daniel, era il caporeparto di fatto, le ordinava di fare cose che non le competevano, ma lei gli rispondeva a tono. ‘Io sono solo un’apprendista, ricordatelo" (Corriere della Sera, 9.3.22).

Pro memoria per la CGIL, che ha fatto una bandiera della formazione in materia di sicurezza: i padroni si possono arrogare il diritto di strappare i manuali, perché le persone devono sapere come fare a produrre di più, non come fare a proteggersi. Possono ordinare di fare cose che non competono, o che comportano rischi, perché sanno che se le persone osano rifiutarsi possono subire conseguenze, possono essere licenziate o sanzionate.

Dopo la sentenza, la Fiom Cgil di Firenze, Prato e Pistoia ha proclamato un'ora di sciopero, dichiarando quanto segue: "È una sentenza che rischia di non avere nessun effetto deterrente verso chi, per il profitto, è disposto ad eludere le cautele antinfortunistiche " (La Nazione, 29.10.22). Anche un'ora di sciopero rischia di non avere nessun effetto deterrente.

Aemme