Chi pensa che le masse non siano più capaci di reagire avrebbe di che riflettere, dopo i numeri realizzati nel corso delle recenti manifestazioni contro il genocidio della popolazione palestinese
Non è facile prevedere come e in che momento possa accadere, ma certamente esiste una forza che spesso non si sa nemmeno di possedere. Quando accade, allora le energie che sembravano dormienti si manifestano in tutta la loro capacità di modificare lo stato di cose esistente, e può succedere che la determinazione delle masse riesca a smuovere dall'immobilità e a trascinare nella lotta anche gli apparati più svogliati e meno inclini a passare dalle chiacchiere agli sforzi concreti.
Così è avvenuto per la mobilitazione in favore del popolo palestinese, nata prima di tutto dall'indignazione e dal disgusto spontaneo che ha suscitato il massacro e la distruzione totale di un popolo e di un territorio, trasmesso ora per ora in diretta, di fronte al vuoto delle reazioni dei governi in tutto il mondo. Così un sindacato con pochi numeri come USB ha intercettato una volontà collettiva, organizzando al porto di Genova un presidio permanente, cortei e uno sciopero che poi è diventato nazionale e ha coinvolto scuole e studenti. Così un pachiderma lento e poco propenso a mettersi alla testa di lotte incisive, come la Cgil, è stato costretto a coprire con la proclamazione di uno sciopero l'azione del porto di Livorno, che ha bloccato l'attracco di una nave israeliana, dato che portuali e cittadinanza erano ormai decisi ad agire. Così uno sciopero nazionale ha compattato il 3 ottobre USB e Cgil in una risposta comune all'attacco che l'esercito israeliano ha condotto contro la Global Sumud Flotilla.
Questa flotta di barche piccole e grandi provenienti da una quarantina di Paesi del mondo in direzione di Gaza, un'iniziativa partita da chi semplicemente non ne poteva più di assistere impotente al macello, ha intercettato il bisogno delle persone di “fare qualcosa”, di opporsi, di esprimere con chiarezza il proprio dissenso e la propria rabbia. Portare aiuto a una popolazione di civili indotti lucidamente da un Paese ostile a morire di fame è una cosa semplice e comprensibile per tutti, nonostante sia palese che è destinata al fallimento. Anzi, il fatto che sia destinata al fallimento la trasforma immediatamente in un atto politico, e mostra con evidenza che “il re è nudo”, e nudi sono tutti i suoi difensori, nude le retoriche e le cosiddette “narrazioni” ufficiali.
L'accusa di non essere un'iniziativa umanitaria, ma appunto un atto politico, piovuta sulla Flotilla e di conseguenza su chi ha manifestato per difenderla, si ritorce di fatto contro chi - da destra o da sinistra - si è precipitato a definirla tale. Lascia trasparire tra l'altro il timore che possa provenire dalle masse un qualsiasi atto politico, la preoccupazione che, una volta imparato “come si fa”, alle masse stesse possa venire in mente di estendere il metodo anche in altre direzioni...
Per molti di coloro che hanno partecipato a questa lotta, una simile consapevolezza è un dato acquisito. Un conto è sentirne parlare, un conto è partecipare a un'iniziativa con un obiettivo comune, acquistare la consapevolezza della forza che si potrebbe dispiegare. In questo senso, fare esperienza di uno sciopero, di una manifestazione, insegna infinitamente di più di qualsiasi ragionamento: comunque vada, non si parte più da zero, ma da una esperienza condivisa. Per non farla cadere nel vuoto, sarebbe utile non disperdere le energie accumulate. Se qualcuno – anche da parte del governo – ha accusato la protesta di non occuparsi dei problemi di casa propria, probabilmente non ha le idee chiare. Problemi nostri sono i milioni immediatamente trovati per attrezzare i magazzini militari in vista di guerre future, mentre ci vogliono negare le risorse per le scuole, per la sanità, per le pensioni. Problemi nostri sono le guerre e l'imponente riarmo in giro per il mondo, mentre i profitti si mantengono alti sui salari in caduta libera.
Le lotte di settembre e ottobre non hanno esaurito gli argomenti: c'è tanto ancora da discutere, banalmente anche sulla legge finanziaria del 2026. Tutta la stampa parla di finanziaria “snella”, per non dire inconsistente. Si fa un gran parlare di sgravi Irpef dal 35 al 33% per il cosiddetto “ceto medio”, dato che – a dar retta alla voce governativa – le finanziarie degli anni passati hanno favorito i redditi medio bassi. A prescindere dal fatto che di questi fantomatici favori ai redditi medio bassi pochi si siano accorti, poca stampa rammenta di che cifre si parli per gli sgravi del 2026. In soldoni, sarebbe un “taglio Irpef di 408 euro a dirigenti e 23 agli operai”. (Il Sole 24 Ore, 6.11.25). 23 euro l'anno, nemmeno 2 euro pieni al mese. Problema nostro anche questo, non soltanto una beffa.
Aemme