Quale sanità pubblica?

Chi ci sta promettendo che verranno stanziati tanti miliardi per il potenziamento della sanità non si riferisce esattamente a quello che vorrebbero i lavoratori, cioè una sanità pubblica, gratuita, efficiente, con la riapertura degli ospedali e degli ambulatori soppressi e l’assunzione di massa, con contratto pubblico e a tempo indeterminato, di medici, fisioterapisti, logopedisti, infermieri, OS, tecnici e amministrativi.

Per i padroni la sanità privata è valida quanto e più di quella pubblica e non saranno i nostri sogni a fargli cambiare idea. Se tutto va bene staranno già pensando intensamente ai tanti succulenti appalti, croce e soprattutto delizia della nostra classe dirigente, che potranno attivare senza troppi intoppi o noiosi controllori fra i piedi.

Il pubblico per Lor Signori è roba obsoleta, cosa da “comunisti antichi e superati” e si arriva al paradosso che gli stessi dipendenti pubblici ricevano l’invito, da parte di Centri Servizio privati, per assistere alla dimostrazione commerciale della esternalizzazione dei loro stessi uffici, con buona pace di tutti gli operatori socio-sanitari morti in servizio proprio a causa delle decennali politiche di privatizzazione senza sosta.

Allo stesso tempo i comunicati dei dirigenti pubblici continuano a imporre una cultura main stream imprenditoriale, con l’invito continuo -possiamo dire imposizione?- ai dipendenti ad assumere un atteggiamento di sfida e competizione per raggiungere obiettivi sempre più alti. Si arriva al teatro dell’assurdo quando, per esempio, si chiede agli operatori sanitari dei reparti oncologici di aumentare la produttività, quasi a dover augurare ai cittadini ad ammalarsi sempre di più di cancro.

Ovviamente siamo tutti liberi di augurarci un premier piuttosto che un altro per affrontare le difficoltΰ che avremo davanti d’ora in poi con le ristrutturazioni post-pandemia ma non facciamoci grandi illusioni. Ben vengano, se vengono, eventuali centinaia di migliaia di posto di lavoro in più che potrebbero rendersi disponibili con eventuali investimenti, ma le paghe continueranno ad essere al limite della sopravvivenza e le condizioni di lavoro al limite della sopportazione umana. Con il capitalismo non ci saranno mai governi amici dei lavoratori (se non a parole) ma solo e soprattutto amici degli affaristi in questo sistema economico che si fonda e si alimenta sullo sfruttamento del più debole. Gli unici amici dei lavoratori, dei disoccupati e degli oppressi sono i loro stessi simili e dall’alto arriva solo strumentalizzazione.

I lavoratori devono essere pronti ad unirsi e a dirottare un’eventuale crescita economica al loro vantaggio, a rivendicare energicamente con le lotte la redistribuzione della ricchezza, partendo dalla ripartizione delle occupazioni per lavorare meno e lavorare tutti, per veder garantiti i diritti alla casa, all’istruzione e alla cura, per andare in pensione a un’età decente che non sia a ridosso del trapasso come vorrebbero i padroni.

Corrispondenza Pubblico impiego – Torino