Blocco dei contratti, tagli agli organici, niente rinnovo per i precari. Sempre meno soldi in busta paga e servizi che si riducono. (Anche) così il Governo del Piddì troverà i soldi per accontentare il bacino elettorale del Pdl. Una mano lava l’altra.
Per i lavoratori pubblici non ci sono buone notizie, e del resto non ce ne sono nemmeno per chi i servizi pubblici deve usarli. Da una parte non si rinnovano i contratti scaduti nel 2009, confermando per il quinto anno consecutivo che niente in più ci sarà nelle buste paga dei dipendenti pubblici, ridotte – a parte poche fasce dirigenziali – a cifre ridicole. Dall’altra, 150.000 precari della Pubblica Amministrazione rischiano il posto a fine anno, e con loro rischiano di non essere erogati nemmeno i servizi pubblici essenziali che stanno garantendo. Per questi “lavoratori precari per servizi duraturi”, come sono stati definiti, ci saranno - pare - dei concorsi con riserva, ma il risultato finale dovrebbe essere una selezione per solo 50.000 assunzioni, e 100.000 posti di lavoro in meno. Questo nella migliore delle ipotesi, e mentre la spesa dello Stato per il proprio personale non è mai stata così bassa dal 1979. Da quando è cominciata la stretta sui salari, preceduta da una massiccia campagna di propaganda contro il pubblico impiego fannullone e strapagato, i lavoratori hanno semplicemente subito una decurtazione progressiva dei salari, i cui effetti si calcolano in miliardi di minore spesa per lo Stato; secondo alcune stime, tra il 2011 e il 2014 il “risparmio” per lo Stato sarà di circa 7 miliardi sulle spalle dei lavoratori (Il Messaggero, 10.8.13). A loro volta, i salari hanno visto una vertiginosa diminuzione del potere d’acquisto, perché l’inflazione è comunque aumentata, mentre i salari sono rimasti fermi: in termini reali, una perdita intorno al 10%. Fino ad oggi i salari non sono stati formalmente diminuiti, ma è un fatto che ogni anno il reddito lordo desumibile dal modello CUD (il riepilogo del reddito annuale) della stragrande maggioranza dei dipendenti pubblici è sempre più basso. Ai mancati aumenti si è aggiunto infatti il blocco delle somme destinate alla contrattazione integrativa, che sono sempre più irrisorie o non ci sono affatto: il risultato è una diminuzione dei salari anche in termini assoluti, oltre alla diminuzione in termini reali. Nel periodo 2011-2012 inoltre i dipendenti pubblici sono diminuiti numericamente del 3,5%, ovvero 120.000 lavoratori in meno.
L’avvicendamento di tre Governi non ha cambiato in nulla i termini della questione, anzi ha confermato la volontà unanime di usare i salari dei dipendenti pubblici come un bancomat a pronto uso, cui attingere per le più svariate esigenze: dagli interessi sui titoli pubblici da regalare alle Banche, all’esenzione dall’IMU sulla prima casa (magari sulla prima villa) da regalare alle fasce più ricche della popolazione, ai vari regali alle imprese, magari per assumere il disoccupato che licenzieranno non appena concluso l’incentivo.
Le reazioni dei Sindacati confederali alla notizia dell’ultimo blocco sono in linea con quanto già sperimentato negli anni precedenti: tiepidi proclami con tanto di vibrata protesta, e naturalmente nessun atto concreto. Il modello adottato è più o meno lo stesso: nessuno sciopero da parte di Cisl e Uil, qualche isolata astensione della Cgil, talmente sfibrata e priva di continuità da scoraggiare e demoralizzare qualsiasi tentativo di reazione. Ma stavolta si è registrata una novità: i nostri sembrano parzialmente ringalluzziti dal fatto che, pur rimanendo il blocco salariale, si riapre però la contrattazione sulla parte normativa del contratto. Ciò che per i lavoratori si presenta come l’ennesima sciagura, per loro è grasso che cola. Stando così i rapporti di forza, la revisione della parte normativa non può significare altro che un inasprimento delle condizioni di lavoro, e un peggioramento generale. Per gli apparati sindacali invece significa – se non altro! – una giustificazione della loro esistenza e una conferma del loro ruolo. Si accomodano al tavolo della trattativa, dunque sono…