Pubblica amministrazione - Smart working e "buoni consigli"

Non potevano mancare, tra i tanti corsi proposti ai lavoratori nell’ambito della cosiddetta “formazione continua”, quelli dedicati alla “sicurezza in regime di smart working”.

Fin qui tutto bene. I corsi, infatti, cominciano con le sviolinate sul diritto alla disconnessione e sul problema delle donne relegate in casa costrette, spesso, a svolgere il lavoro esterno e quello di casalinghe contemporaneamente (tanto per dare un contentino ai comitati per la parità di genere). Ma poi, quando si arriva alla gestione dei tempi di lavoro, ecco che arrivano le sorprese e che chi segue i corsi comincia a chiedersi seriamente se la sicurezza a cui si fa riferimento non sia tanto quella del dipendente in modalità di lavoro agile, quanto piuttosto quella del datore di lavoro.

Quasi come in una dimostrazione tra condomini per l’acquisto di batterie di pentole o di prodotti cosmetici, infatti, il "counselor" di turno (quasi sempre, a sua volta, anche questo dipendente di qualche ente di formazione sfruttato e sottopagato) comincia a sciorinare un’infinità di consigli per ridurre i tempi delle telefonate alle colleghe, per usare le chat al posto del telefono, per preparare gli ordini del giorno delle riunioni on line in modo tale da ridurne i tempi di durata. In pratica, le lavoratrici e i lavoratori in modalità agile non sarebbero impegnati nelle loro mansioni per ben più di otto ore al giorno perché dirigenti e datori di lavoro ne approfittano per ridurre le assunzioni (sensazione diffusa tra i più) ma perché non sanno “ottimizzare i loro tempi”.

Ancora una trappola in cui i lavoratori non devono cascare. A casa o in ufficio (in questo caso, ma lo stesso capita nelle fabbriche o nei supermercati), l’aumento irrazionale dei tempi di lavoro è dovuto allo sfruttamento e cioè al bisogno impellente della classe padronale di far fare il lavoro di due persone (quando va bene) ad una sola. Chiamiamolo quindi sfruttamento agile: "smart exploitation"!.

Farci sentire colpevoli della nostra disorganizzazione lascia il tempo che trova. Sappiamo valutare il nostro carico di lavoro e, al di là dell’ottimizzazione o meno dei tempi, i conti non tornano. L’unica sicurezza garantita, di presenza o in remoto, è poter lavorare meno e lavorare tutti, redistribuire i carichi di lavoro e ridurre l’orario di servizio a parità di salario.

Corrispondenza Torino