Condannati i vertici della multinazionale dell’amianto: 16 anni a Stefan Schmidheiny e a Jean Louis Marie Ghislain de Cartier de Marchienne, un nome che è tutto un programma, e due personaggi – fantasma nel corso di tutto il processo. Discendenti da famiglie dell’alta borghesia, con un passato da caricatura: uno dei due finanzia associazioni e fondazioni ambientaliste, l’altro già negli anni ’60 sapeva bene che per la sua pericolosità l’industria dell’amianto era senza futuro perché “progressivamente ci impediranno di lavorare”. Purtroppo nessuno lo ha impedito abbastanza presto da evitare una strage, e – come ricorda il pm Raffaelle Guariniello in una bella intervista al Fatto Quotidiano del 14.2.12, tuttora negli stabilimenti indiani “i lavoratori maneggiano l’amianto come fosse pane, senza non dico lo scafandro obbligatorio da noi, ma nemmeno una mascherina di cartone: l’uomo, a seconda dove vive, è trattato in modo così diverso! Un’ingiustizia che deve finire”.
A Casale Monferrato 16 anni sembrano ancora pochi, molti hanno commentato che i responsabili meritavano l’ergastolo. Ma non è facile far condannare i vertici di una multinazionale, indagini e processi per reati simili coinvolgono in genere solo dirigenti locali per responsabilità specifiche, e si fermano spesso in istruttoria o finiscono in prescrizione.
Per Guariniello “Questi non sono processi di serie B: sono importanti quanto quelli di mafia. […] Non basta piangere a ogni morto sul lavoro. Basta lacrime inconcludenti, è ora di passare ai fatti con una Procura nazionale specializzata su questi reati. Per intervenire non solo a tragedia avvenuta […] alzare lo sguardo oltre il caso singolo, per comprendere se questo infortunio o quella malattia professionale sono solo un episodio o – vedi Thyssen ed Eternit – l’esito delle scelte strategiche di tutta l’azienda”.
L’avvocato di uno dei condannati ha commentato che se passa il principio di responsabilità per il capo di una multinazionale, allora investire in Italia da adesso sarà molto difficile. C’è chi sostiene che per le imprese investire in Italia è difficile perché vige l’art. 18. Magari, oltre alla licenza di licenziare, credono legittima anche la licenza di uccidere.