Ci voleva un Governo a guida democratica, e un Ministro del Lavoro ex segretario provinciale ai tempi del vecchio PCI, nonché ex segretario nazionale delle Cooperative (cosiddette) rosse, per emanare l’ennesima legge che approfondisce e aggrava la precarizzazione del lavoro
La realtà probabilmente è ancora più drammatica: per questo si può obiettivamente valutare l’ultimo provvedimento sul lavoro del pimpante Governo Renzi come la conferma di una condizione che è già nei fatti, basta guardarsi intorno. Per esempio, in Toscana – dati provenienti da un’indagine della Cgil Toscana – posto che comunque i nuovi avviamenti al lavoro nel 2013 sono diminuiti, ben l’88% dei nuovi contratti sono stati a tempo determinato. Il 61% non supera i tre mesi, il 36,6% non supera i 30 giorni, addirittura il 12% ha durata di un giorno. I tempi determinati calano a picco e si attestano a un irrisorio 5,8%. Al contempo le trasformazioni da tempo determinato a tempo indeterminato sono calate del 20,3%, quelle da apprendistato a tempo indeterminato del 24,3%. Stiamo parlando di un Regione per così dire “media”, collocata al centro, per cui, se è possibile che simili studi possano dare risultati migliori per il Nord Italia, è più che probabile che al Sud la situazione sia ancora più grave; e stiamo parlando ancora di rapporti di lavoro contrattualizzati, quindi senza contare la larghissima fetta del sommerso, e tralasciando il fatto che buona parte dei lavori con contratto sono al nero almeno in parte, cioè contrattualizzati magari per quattro ore giornaliere, e di fatto a durata di otto ore.
Per questo non pensiamo di essere molto lontani dalla realtà affermando che il Decreto lavoro, convertito in legge a metà maggio, consolida e assicura al padronato un risultato già ampiamente raggiunto: l’abolizione in pratica del lavoro a tempo indeterminato come lo conoscevamo, e la definitiva consacrazione del lavoro precario come forma “normale” di assunzione. Sull’approvazione definitiva del decreto è stata posta la fiducia in Senato, e probabilmente il “bonus” di 80 euro graziosamente elargito dal Governo ai redditi più bassi è stato messo in conto tra le “concessioni”, in cambio delle quali era dovuto un ulteriore inasprimento delle condizioni contrattuali. Sugli 80 euro di detrazioni Renzi ha impostato buona parte della campagna elettorale delle europee, mentre rarissime voci si sono alzate per ricordare che il cuneo fiscale si mangia quasi metà della busta paga, e per effetto del drenaggio fiscale – mai restituito ai lavoratori dipendenti – le nostre retribuzioni hanno perso ben più di 80 euro mensili; cifra che comunque supera ampiamente quanto in questi anni siano stati capaci non solo di ottenere, ma anche solo di rivendicare i sindacati confederali.
Di fatto, comunque, da ora in poi sarà possibile stipulare contratti fino a 36 mesi senza causale, cioè senza ragioni particolari, e si potrà prorogare un contratto a tempo determinato per cinque volte. Il tetto di precari per azienda è fissato al 20% dell’organico stabile, ma in caso di violazione il padrone non sarà più tenuto alla stabilizzazione del lavoratore, sarà soggetto soltanto al pagamento di una sanzione amministrativa; il tetto comunque non vale per il personale assunto dagli istituti pubblici o privati di ricerca scientifica. Per le assunzioni in regime di apprendistato, l’obbligo di stabilizzare il 20% degli apprendisti prima di assumerne di nuovi è stato limitato alle aziende con più di 50 addetti (prima era di 30). Se questo è solo l’inizio, lo svolgimento successivo è garantito dal primo comma dell’art.1, che fa da battistrada al prossimo disegno di legge delega su contratti e ammortizzatori, quello che nelle intenzioni governative dovrebbe realizzare un vecchio sogno dell’ex giuslavorista Ds, oggi Scelta Civica, Pietro Ichino, e cioè il contratto a tempo indeterminato a protezione crescente. Ovvero la definitiva sepoltura della (anche se relativa) sicurezza del posto di lavoro.
In ogni caso, niente ha impedito al Ministro Poletti di dichiarare alcune perle, come “Ora le imprese potranno assumere senza preoccupazioni” oppure “Se il diritto acquisito è un privilegio ingiustificato non si deve tenere…bisogna avere il coraggio di dire che ci sono delle cose che non ci stanno, perché ingiuste. E’ iniquo che mio figlio non abbia delle garanzie, dobbiamo costruire un punto di giustizia nel rapporto tra le generazioni…Di gente che ha conquistato cose nel ’64-’65 ne abbiamo in quantità industriale, ma dobbiamo misurarci con tutti i ragazzi che non hanno ancora iniziato a lavorare”.
Sicuramente non ci danno pensiero né il futuro del rampollo di Poletti, a cui – malgrado le angustie del padre - non mancheranno di certo le garanzie, né tantomeno le preoccupazioni delle aziende. E l’insulto peggiore ai lavoratori paradossalmente non è tanto nelle norme, a cui ci si potrebbe opporre con le lotte, se almeno minimamente organizzate, ma nel fossato che le idee dominanti scavano nel grado di coscienza della classe operaia. Presentare i diritti conquistati con le lotte come privilegi da estirpare, ingiustizie da perseguire, o – con altri accenti – segni di un passato ormai superato da demolire, è la mossa più insidiosa e indubbiamente più velenosa ai danni dei lavoratori. La classe che ci sfrutta lo sa benissimo. Deve averne consapevolezza anche la classe lavoratrice.
Aemme