Il governo della destra si compiace di buone notizie. L'ultima sulla piazza ci ricorda il Berlusconi buonanima, che annunciava un milione di nuovi posti di lavoro qualora fosse stato posto a capo del Governo. Giorgia Meloni invece annuncia di aver già compiuto il miracolo: con un buon margine di approssimazione, si intesta un milione di posti di lavoro in più da quando è al governo
Nel 2023, secondo l'Istat (Istituto Nazionale di Statistica) il reddito delle famiglie è diminuito in termini reali; nel 2024 quasi il 23,1% della popolazione è risultata a rischio povertà, numeri in crescita rispetto al 22,8% dell'anno prima, un dato che sale a oltre il 25% per le famiglie in cui sia presente almeno un minore. Se poi si tratta di famiglie numerose, con 3 o più figli, il rischio povertà ed esclusione sociale sale vertiginosamente al 42%, con un incremento di 5 punti percentuali in un solo anno. I numeri sono così, sono strani: ci si può baloccare tra propaganda e strafalcioni, ma non è tanto facile maneggiarli. Ha un bel dire la premier che “abbiamo il numero di occupati più alto da quando Giuseppe Garibaldi ha unificato l’Italia”; ci sarebbe anche da aggiungere che all'epoca la popolazione era meno della metà di quella odierna, sebbene facessero lavorare anche i bambini. Di fantasmagorie numeriche si possono ammantare facce e giornali che caldeggiano il governo, ma alla prova dei fatti il palloncino si sgonfia, e resta quel che resta. Cioè resta da capire se l'insieme della popolazione, in particolare la popolazione che appartiene alla classe lavoratrice, sia propensa o meno a prendere per buone le pagliacciate governative.
L'ISTAT lavora fotografando la situazione in un dato momento, di regola con rilevazioni trimestrali, e deve adottare un criterio: considera come occupate le persone tra i 15 e gli 89 anni che “hanno svolto almeno un’ora di lavoro a fini di retribuzione o di profitto, compresi i coadiuvanti familiari non retribuiti”, nel momento in cui sono raccolti i dati. Dettaglio poco conosciuto: tra i criteri di conteggio degli occupati non è compresa la regolarità del rapporto di lavoro; cioè, l'ISTAT - difficile stabilire con quali criteri - conteggia anche il lavoro irregolare, il lavoro nero o grigio. Per quanto le dinamiche dell'occupazione dipendano da tanti parametri, anche internazionali, e non soltanto dalle politiche governative, resta il fatto che il lavoro nel nostro Paese si caratterizza per un alto grado di sfruttamento. D'altronde, sono questi i risultati conformi agli obiettivi governativi, a sentire quel che afferma la premier: “Come governo abbiamo cercato di fare la nostra parte: in poco più di due anni, abbiamo lavorato con l’obiettivo di creare opportunità, sostenere le imprese e ridare dignità al lavoro. È la nostra idea di Italia che prende forma, passo dopo passo”. Che si diano molto da fare per realizzare la loro idea di Italia non c'è dubbio, che ci sia dignità in questo lavoro è un parolone, quasi quasi un insulto. Anche il sottosegretario alla Giustizia Delmastro rincara la dose, in fatto di ingiurie: “L’era della sinistra è finita, è iniziata l’era del lavoro” (La Stampa, 2.4.25). Ma i numeri ufficiali, gli stessi maneggiati con tanto entusiasmo dalle fonti governative, dicono pure con chiarezza che, a fronte di un teorico milione di occupati in più, abbiamo visto un aumento della percentuale di popolazione a rischio di povertà ed esclusione sociale, quando non di vera e propria miseria. Allora, se tante persone in più lavorano, ma il benessere delle persone diminuisce, le buone notizie sono unicamente per chi le sfrutta, e lavorare non significa affrancarsi dalle privazioni. In poche parole, significa che lo sfruttamento è semplicemente aumentato.
Lavorare ed essere poveri non vale solo per il lavoro marginale, quello da un'ora di lavoro alla settimana. Vale anche per chi lavora a orario e a stipendio pieno: in Italia, non da ora, gli stipendi sono fra i più bassi in Europa in termini reali, cioè calcolando il potere d'acquisto. Con pari stipendio nominale, si possono acquistare più cose che in Italia in quasi tutti gli Stati Europei: Spagna, Francia, Germania, Stati scandinavi, Belgio, Irlanda, Austria. Ma anche fuori dall'Europa: Stati Uniti, Turchia, Giappone, Cipro. Per trovare di peggio bisogna dirigere lo sguardo verso l'Europa Orientale, oppure verso Malta, Grecia, Portogallo. (Fonte: Fanpage, 20.2.25). I salari nel nostro Paese sono praticamente fermi da trent'anni: gli ultimi aumenti di una certa entità risalgono agli anni '90. Nel frattempo, l'inflazione erode il reddito, e il rinnovo dei contratti nazionali rimane al palo: sempre secondo l'ISTAT, nel 2024 il 50% dei lavoratori italiani aveva un contratto scaduto da rinnovare. E i rinnovi, oltreché lenti, sono costellati di lunghe trattative che necessitano di scioperi per riuscire a ottenere un risultato. Il 28 marzo si è svolto l'ultimo sciopero per il rinnovo del contratto dei lavoratori metalmeccanici, dopo la rottura delle trattative a novembre scorso; non è il primo sciopero per la categoria, che mentre continua il blocco degli straordinari e delle flessibilità in tutti i luoghi di lavoro, ha già provato con altre sedici ore di sciopero. La mobilitazione ha avuto un successo notevole, con adesioni fino all'80-90% nelle aziende e manifestazioni nelle principali città. Che il messaggio finalmente sia chiaro!
Aemme