In prima fila i 19 operai Fiom discriminati che la FIP ha dovuto riassumere
Il 27 novembre scorso la direzione di Fabbrica Italia di Pomigliano convocava i primi 19 operai Fiom dei 145 la cui discriminazione è stata riconosciuta dalla magistratura che, per questo, ha ordinato all’azienda di assumerli alla FIP. I 19 “privilegiati”, così li ha definiti Marchionne, potranno raggiungere i compagni di lavoro il 10 dicembre, quando terminerà la fermata dello stabilimento.
Tutto bene? No. Perché la Fiat ha minacciato di espellere dalla fabbrica 19 lavoratori per far posto a quelli rientranti della Fiom, la quale, in tal caso, farà ricorso per chiedere di sanzionare la Fiat. Perché, come hanno ribadito gli stessi operai Fiom “ripescati” dalla giustizia, non solo loro devono rientrare al lavoro, e nemmeno i 145 ancora in attesa, ma tutti i 2600 operai tuttora fuori dai cancelli, che rischiano il licenziamento il 13 giugno del 2013. Quel giorno, infatti, terminerà la cassa integrazione, come previsto dal famigerato accordo di Pomigliano del 2010. Perché ai tre licenziati della Fiat di Melfi, nonostante i tre gradi di giudizio positivi, l’azienda, pur pagandoli, vieta loro di varcare i cancelli dello stabilimento.
In occasione dello sciopero europeo del 14 novembre i cittadini di Pomigliano si sono stretti intorno ai loro operai. Un corteo vivace e numeroso ha attraversato la città partendo dal piazzale “AlfaRomeo” per poi giungere a piazza Primavera, nel cuore cittadino. Buona l’accoglienza dei commercianti i cui negozi non hanno abbassato le serrande, molti i cittadini presenti lungo il percorso per manifestare la loro solidarietà. In testa al corteo i 19 operai Fiom aprivano lo spezzone dei lavoratori della FIP, seguiti dalle rappresentanze metalmeccaniche di varie parti d’Italia. C’erano i lavoratori della Fiat di Melfi, di Cassino, di Irisbus e della Magneti Marelli (ex Ergom), i cui 850 operai rischiano di seguire la sorte dei 2600 rimasti fuori dalla FIP. Tantissimi gli studenti delle scuole della zona che hanno sfilato dietro ad un gigantesco striscione su cui campeggiava la scritta «Pomigliano dal ricatto al riscatto». Non c’erano, invece, la Cgil e i Cobas, che hanno preferito manifestare nel centro di Napoli. Qui la presenza degli studenti è stata di gran lunga preponderante. Una scelta sbagliata che dimostra, nel caso della Cgil, il rifiuto di mettere la lotta di Pomigliano al centro del conflitto sociale e, nel caso dei Cobas, la reiterata vocazione all’autoreferenzialità che, troppo spesso, li porta a prediligere le sfilate studentesche ai cortei operai.
Eppure la vicenda di Pomigliano mostra, in tutta evidenza, la necessità di unire le forze per contrastare il disegno perseguito da padroni e governo di cancellare diritti e tutele nei posti di lavoro estendendo a tutti i lavoratori il “modello Pomigliano”. Il recente accordo sulla produttività docet!
Unire le lotte, dunque, facendole convergere su rivendicazioni in grado di restituire ai lavoratori la consapevolezza della propria forza. Un’esigenza disattesa dalla stessa Fiom, dal momento che l’unico suo cruccio pare essere quello di richiedere alla Fiat un altro (l’ennesimo!) piano industriale. Non è bastato illudere per anni i lavoratori con le false chimere di faraonici investimenti puntualmente disattesi dal Lingotto? Gli stessi contratti di solidarietà, presentati dal sindacato di Landini come una valida alternativa alla cassa integrazione, non possono che indebolire ulteriormente la capacità di lottare. Meno orario ma anche meno salario e più flessibilità daranno meno e non più forza alla lotta, tanto più con salari già oggi insufficienti a sopravvivere.
Corrispondenza da Napoli