Poco o niente di cambiato

Francia: quattro mesi dopo l'elezione del “socialista” Hollande


A quattro mesi dall'elezione di François Hollande a presidente della Repubblica e tre mesi dopo l'insediamento del governo socialista di Jean-Marc Ayrault, è sempre più evidente che questo ricambio al vertice non ha cambiato niente nella situazione dei lavoratori e delle classi popolari di Francia.

Certamente il discorso di Hollande, che dice di voler essere un presidente “normale”, è cambiato rispetto ai discorsi esasperati e provocatori di Sarkozy, ma solo il discorso. Il proclamato ritorno alla pensione a 60 anni è stato solo simbolico perché riguarda solo una ristretta categoria di lavoratori che abbia maturato 41 anni di contributi senza alcun periodo di disoccupazione, maternità o malattia. Così come è stato simbolico l''aumento del salario minimo garantito, limitato allo 0,6% oltre l'inflazione. E mentre si invitano i lavoratori ad accontentarsene, questo governo sta corteggiando i padroni. Lo ha mostrato la presenza di undici ministri alla recente assemblea del Medef, la Confindustria francese, che sta dettando le sue esigenze. Col solito pretesto di aiutare la crescita, chiede agevolazioni di oneri sociali e maggiore flessibilità del lavoro, cioè il diritto di licenziare più facilmente, e una stretta delle spese pubbliche, che in realtà il governo sta già applicando. Anche in questo caso, mentre la promessa di “fare pagare i ricchi”si sta riducendo a poco più di niente, la crisi del debito è un pretesto che serve a giustificare il proseguimento di una politica di austerità.

Nei fatti anche in questa materia la svolta è solo simbolica. Per il rientro scolastico di questo settembre 2012, il governo Hollande-Ayrault ha annunciato la creazione di mille posti di lavoro nella pubblica istruzione, il che vuol dire sostanzialmente che sta applicando 13.000 delle 14.000 soppressioni di posti programmate dal governo Sarkozy, che in tre anni ne ha soppresso 80.000. E poi, di fronte alla crescente disoccupazione giovanile, si parla della creazione di 150.000 “contratti d'avvenire” entro il 2014: una goccia di fronte alla marea della disoccupazione.

Neanche la politica nei confronti degli immigrati è cambiata. Durante l'estate il nuovo ministro degli Interni “socialista” ci ha tenuto a proseguire l'odiosa politica di espulsione dei “rom” avviata da Sarkozy, cercando di dimostrare che può essere ugualmente reazionario e xenofobo del suo predecessore.

Nel frattempo la crisi va avanti. A fine agosto si è saputo che il numero dei disoccupati aveva superato tre milioni secondo le statistiche ufficiali. Il che significa probabilmente più di quattro milioni e mezzo in realtà. Da tre mesi è stata annunciata una valanga di licenziamenti e chiusure di fabbriche in grandi gruppi industriali, dei trasporti e della grande distribuzione. Da PSA-Peugeot a Carrefour, ad Alcatel e ad Air France. Si tratta di decine di migliaia di posti di lavoro. Ma il governo non fa niente per opporsi alla politica di questi grandi padroni che licenziano, non perché sono in difficoltà ma perché vogliono fare più profitti. Anzi, un ministro ha consigliato ai lavoratori della PSA dell’impianto di Aulnay, in procinto di essere chiusa, di “dare prova di responsabilità”, cioè di accettare la decisione della direzione aziendale. Si tratta del ministro dello… Sviluppo economico. Lo stesso ministro ha aggiunto che gli occorreranno almeno cinque anni o forse di più per imprimere una tale svolta all’economia da far diminuire la disoccupazione. I lavoratori disoccupati dovrebbero soltanto avere la pazienza di aspettare!

È chiaro che la poca fiducia di cui poteva beneficiare Hollande fra i lavoratori sta riducendosi precipitosamente. Dal malcontento bisognerà passare all’azione e alla lotta per costringere i capitalisti a pagare per mantenere, nonostante la crisi, salari e posti di lavoro. Per i lavoratori è una questione di sopravvivenza.

A.F.