Lo scorso 22 novembre, un migliaio di lavoratori sono scesi in sciopero alla Jingmo, una fabbrica elettronica di Shenzhen, una città del sud della Cina con dieci milioni di abitanti. Questa fabbrica è di proprietà del taiwanese Jingyuan Computer Group, che produce tastiere e altri accessori per Apple, IBM e LG.
I lavoratori hanno protestato contro uno smisurato aumento delle ore di lavoro; dopo la giornata di lavoro normale, dalle 07 alle 17,00, con due ore di pausa pranzo, i padroni hanno chiesto il prolungamento fino alle 18,00 oppure a mezzanotte o perfino alle 02.00. Questa denuncia arriva dal China Labor Watch di Hong Kong, un’organizzazione senza fine di lucro.
Alla richiesta dell’aumento dell’orario di lavoro, gli operai, hanno lasciato il posto di lavoro per dimostrare per strada e denunciando le cattive condizioni che sono causa di molti incidenti sul lavoro. La loro protesta si indirizzava anche contro il sistematico licenziamento dei lavoratori più anziani e contro il comportamento dei manager che spesso insultano gli operai. Sono tornati al lavoro solo quando la direzione ha promesso una riduzione del monte-ore straordinario.
Il 16 novembre nella stessa provincia, 400 lavoratrici della Top Form Underwear, una fabbrica di reggiseni, hanno scioperato per 5 giorni contro un taglio dei salari e l’imposizione del cottimo. La loro rabbia è cresciuta dopo che un caposquadra ha offeso un operaio che non aveva compreso un ordine impartitogli in cantonese; la lingua normalmente utilizzata è infatti il cinese mandarino.
Il 17 novembre, a Dongguan, 7.000 operai di un complesso industriale nella provincia di Guangdong vicino a Canton, sono scesi in sciopero contro licenziamenti e tagli di salari. La loro fabbrica, la Yucheng, fabbrica scarpe per conto di società come Adidas, Nike e New Balance. Ci sono stati violenti scontri con la polizia con diversi feriti per strada. I lavoratori temevano che l’impianto sarebbe stato trasferito in un’altra provincia, a jiangxi, dove i salari, perfino peggiori che nel Guangdong.
L a lunga ondata di scioperi nel mese di novembre ha interessato soprattutto la provincia del Guangdong che è altamente industrializzata e molto popolosa. Decine di milioni di lavoratori migranti utilizzati dalle fabbriche di questa provincia, vi soffrono le pesanti conseguenze della crisi economica mondiale.
Il vice primo ministro responsabile delle finanze, ha recentemente dichiarato che l’economia cinese sta per entrare in una lunga recessione. Dall’inizio del 2011, le esportazioni sono aumentate a malapena. Questo ha dato luogo a un rallentamento della produzione. La produzione in Cina è scesa al livello più basso degli ultimi due anni e mezzo.
Quando gli ordinativi diminuiscono, i padroni cinesi reagiscono come i padroni di tutto il mondo: fanno pagare agli operai. La maggior parte di questi padroni sono contraenti per le grandi aziende occidentali, che ricavano enormi profitti dallo sfruttamento feroce dei lavoratori cinesi.
Anche se i lavoratori cinesi sono più sfruttati, hanno gli stessi problemi dei lavoratori statunitensi ed europei: bassi salari, licenziamenti, delocalizzazioni. Spesso hanno gli stessi datori di lavoro.
La loro lotta è un incoraggiamento per tutti i lavoratori, in ogni parte del mondo.
“The Spark” 12 dicembre 2011