Nemmeno il senso del pudore: le grandi potenze, che come un branco di cani si disputano a suon di missili il succoso osso libico, ancora una volta non si vergognano di ammantare l’intervento con i crismi di qualche nobile causa. Tuttavia, chissà perché, gli unici diritti che riconoscono sono quelli direttamente collegati ai loro interessi.
Sarebbe perfino troppo facile fare l’elenco dei teatri di guerra, o anche solo delle emergenze umanitarie, per le quali nessuno degli Stati - che ieri come oggi si dichiarano appassionati difensori della democrazia, dei diritti dei popoli, e anche degli individui massacrati dai regimi dispotici – si è mai sognato di intervenire. Senza andare troppo lontano nello spazio, e nemmeno nel tempo, basterebbe citare il Bahrein, o la Siria, i cui rispettivi regimi stanno reprimendo le proteste con le armi (in Siria vige la legge marziale dal 1963). Guardando indietro, le occasioni di intervento per i volenterosi Paesi esportatori di democrazia sarebbero state infinite: basti solo pensare al massacro dei Tutsi in Ruanda (e successivamente degli Hutu), un affare da più di un milione di morti, con successiva catastrofe umanitaria e centinaia di migliaia di profughi in fuga nei paesi confinanti. Ma gli esempi sarebbero infiniti: per rimanere al Medio Oriente, i bombardamenti israeliani sulla striscia di Gaza, e l’embargo delle merci che soffoca quelle popolazioni. E quanto alle emergenze umanitarie, basterebbe solo pensare alla fame e alle malattie che falcidiano intere popolazioni in Africa e in Asia.
Ma, quanto alle emergenze degne d’intervento, i Paesi dominanti su scala mondiale si dimostrano estremamente selettivi: stavolta sono i libici in rivolta a meritarsi l’attenzione sulla scena mondiale, e - in particolare - degni di estrema considerazione sono le commesse relative allo sfruttamento dei giacimenti petroliferi, e il ruolo centrale della Libia in Nord Africa. Per questi nobili obiettivi, vale la pena investire un gruppo di fuoco notevole. Si possono anche fare i conti in tasca ai predoni occidentali, perché i dati sono pubblici (almeno parzialmente). Così apprendiamo (La Stampa, 24.3.11), che soltanto nei primi quattro giorni di operazioni militari sono stati spesi 800 milioni di euro, e che la missione – pomposamente battezzata "Odissea all’alba" - prevede l’utilizzo di un miliardo di dollari solo per il primo mese.
D’altra parte, ogni attrezzo da guerra ha un costo notevole: aerei, missili e navi valgono cifre enormi, e necessitano di cifre altrettanto enormi per muoversi e sparare. Questi Governi, che con il pretesto della crisi sono così rigorosi quanto ai conti pubblici, e tanto parsimoniosi nelle spese sociali, sempre pronti nel mettere ogni onere a carico dei lavoratori, non esitano a investire cifre enormi per le loro spedizioni da predatori. Un missile Tomahawk costa almeno un milione di euro, e nella prima notte di guerra ne sono stati lanciati più di cento. Gli aerei bombardieri B2 costano circa 300.000 euro, e per viaggiare hanno bisogno di almeno 10.000 dollari l’ora. Anche l’Italia, nel suo piccolo, ha dato: i quattro Tornado antiradar e i quattro caccia intercettori Eurofighter messi in campo valgono 30 milioni di euro i primi, 100 i secondi, e per ogni ora di volo ne consumano 30.000. Ogni missione di ricognizione, che dura circa tre ore, costa 300.000 euro. Se poi questi aerei devono sparare (e per questo sono fatti), ogni missile costa la bellezza di 200.000 euro.
Poi ci sono le navi: per rimanere alla flotta italiana, la sola portaerei Garibaldi, che può caricare a bordo sette aerei a decollo verticale e due elicotteri, costa soltanto di carburante 100.000 euro al giorno, e - dato che ne consuma quantità enormi – deve avere costantemente al fianco una nave-rifornimento. Oltre a queste e al cacciatorpediniere Andrea Doria, l’Italia schiera anche una fregata e un pattugliatore d’altura: in tutto queste cinque navi fanno sparire 300.000 euro al giorno.
In compenso, per giorni e giorni non ce n’è stato per qualche migliaio di immigrati sbarcati a Lampedusa: abbandonati sui moli con qualche lenzuolo di carta, senza riparo né servizi igienici, e alla fine anche con cibo insufficiente, hanno potuto contare solo sull’assistenza dei pochi addetti e dei volontari, lasciati soli a fronteggiare un’emergenza che nei numeri sarebbe stata assolutamente gestibile. In larga misura a uso e consumo delle esigenze di propaganda leghiste e non solo, si è lasciato che la situazione scoppiasse in mano agli abitanti di Lampedusa, prima di intervenire. Altrettanto per le poche centinaia di minori, tra bambini e ragazzini, ammassati nella sede della Riserva marina di Lampedusa: le comunità protette avrebbero avuto a disposizione posti a sufficienza, ma per settimane non si è trovato nessuno che pagasse le rette. Chissà perché, a differenza degli obiettivi militari di Libia, loro non meritano nemmeno quei quattro soldi.