Far sentire la voce dei lavoratori nella crisi politica
Nei periodi di crisi politica, come quella che ormai da mesi scuote governo e opposizione, si rivela molto più chiaro e comprensibile il giudizio marxista sulla lotta politica nella società capitalistica come disputa di cricche, legate a questo o a quel settore delle classi privilegiate, per spartirsi il bottino del potere. Una contesa che occasionalmente e in modo del tutto strumentale fa riferimento agli interessi della gente, degli italiani, del popolo.
L’Opposizione di Bersani insiste con il ritornello del governo che non governa. Il fatto è che il governo Berlusconi ha governato eccome, ma a beneficio, oltre che suo personale, della grande borghesia e a scapito dei lavoratori. Mettiamo insieme tutti i provvedimenti contro i lavoratori e vediamo se veramente se n’è stato con le mani in mano! Ma certo, ora che la Confindustria sembra orientarsi verso un nuovo governo appare più conveniente per il PD impostare la polemica contro l’incapacità e l’incompetenza del presidente del consiglio e della sua corte. Non che Berlusconi e i suoi non meritino queste e mille altre accuse, ma la sostanza per noi è un’altra: i lavoratori devono continuare a pagare la crisi economica?
Tutti i candidati alla successione del premier ci assicurano che bisogna finalmente occuparsi dei “problemi del Paese”. Ma se li guardiamo uno a uno questi problemi, così come vengono comunemente citati, non ce n’è uno la cui risoluzione non comporti uno scontro sociale durissimo. Il Veneto, per fare un esempio, è stato investito da un’alluvione che ha nella cementificazione di gran parte del territorio una delle sue ragioni principali. Di chi è la responsabilità se non di quella borghesia delle fabbrichette che si è “fatta da sé” ma a spese di qualsiasi criterio di pianificazione razionale del territorio? Chi oggi avrebbe il coraggio di mettersi contro questa numerosa e ringhiosa borghesia?
Che dire del problema della spazzatura di Napoli, che è il risultato di interessi e connivenze “bipartisan” tra grandi imprese produttrici di scorie velenose del nord e del centro Italia, camorre e gruppi politici locali e nazionali?
Un altro problema, ci dicono esponenti politici ed esperti economici, è quello della burocrazia e delle tasse. Tale è la giungla di leggi e leggine, tale è la pressione fiscale sulle imprese, si dice, che nessun imprenditore trova più appetibile investire in Italia e, anzi, anche molti imprenditori italiani cominciano a sconfinare nei territori limitrofi della Svizzera, dell’Austria, della Slovenia. Il vice presidente della Commissione attività produttive della Camera, Raffaello Vignali, del PDL, intervistato da La Stampa, ci offre involontariamente la chiave della questione: “Siamo il paese con il più alto tasso di imprenditori al mondo e insieme uno di quelli in cui è più difficile fare impresa” . Un vero mistero. Un mistero che trova una sua spiegazione, scartata l’ipotesi di una superiorità biologica degli imprenditori italiani, nell’ampia diffusione di pratiche illegali che caratterizza il capitalismo italiano.
Puntuale la conferma dagli istituti di analisi: il 54,4% del reddito imponibile viene evaso. La categoria che detiene il primato dell’evasione fiscale è quella degli industriali che ne rappresentano all’incirca un terzo del totale. Il Nord non è più virtuoso del Sud: il Nord-Ovest detiene più del 29% del monte evasione.
Il fatto che tanti imprenditori facciano fagotto è il segnale che il sistema è vicino al collasso, ma mettervi veramente le mani comporterebbe una capacità riformatrice che la borghesia italiana non è riuscita a sviluppare nemmeno centocinquanta anni addietro, nel periodo del suo massimo slancio rivoluzionario. Anche allora le riuscì più facile e congeniale prendersela con la povera gente, a cominciare dai contadini meridionali, che fare i conti con i latifondisti e gli aristocratici legati alle vecchie dinastie e alla Chiesa.
Invariabilmente, di fronte ad una crisi economica che pone al capitalismo la necessità di ristrutturare e tagliare i rami secchi, la borghesia italiana si rivolge esclusivamente contro i lavoratori e i ceti popolari. Tutti i discorsi sulla modernizzazione e sulla razionalizzazione del sistema produttivo si traducono puntualmente in nuovi giri di vite contro i diritti dei lavoratori, contro il loro tenore di vita e conto quello della maggior parte della popolazione. L’opposizione vera, a Berlusconi e a chi ne prenderà il posto, deve svilupparsi fuori dal parlamento, sul terreno di una lotta generale per la difesa delle condizioni di esistenza a cominciare dalle fabbriche e da tutti gli altri luoghi di lavoro.