La progressiva spoliazione della classe lavoratrice non è un fenomeno nazionale, anche se spesso è difficile vedere molto al di là della propria cerchia sociale. E’ un fenomeno mondiale, e non desta più stupore nei commentatori. Se mai, ci si interroga su quali potrebbero essere le conseguenze. Soprattutto se portano a qualche incidente imprevisto, tipo la sconfitta governativa nel referendum costituzionale in Italia, il voto anti-Europa in Gran Bretagna, l’elezione di un super miliardario populista a presidente degli Stati Uniti.
La Commissione europea per l’occupazione e gli affari sociali ha patrocinato una conferenza dal titolo “Il pilastro europeo ed i diritti sociali” - stando alle premesse, un volenteroso consesso dedicato alla promozione delle politiche sociali. Con l’occasione, si è sentita in dovere di coniare un nuovo termine: “povertà lavorativa”. Si tratta semplicemente di lavoratori a livello salariale estremamente basso, che non basta a metterli al riparo dalla soglia di povertà, ed è una condizione che riguarda ormai il 10% della popolazione occupata in Europa. Che non basti più avere un lavoro è un’ovvietà sotto gli occhi di tutti, specialmente se questo lavoro può durare pochi mesi o addirittura per lo spazio di poche ore, come in Italia con i vouchers, ma anche altrove, come con le varie formule di “minijob” tedeschi.
Fatto sta che la Commissione Europea si interroga allarmata sull’eventualità che non si possa parlare di ripresa e ritorno alla normalità, qualora non si risponda alle richieste di quanti “sono rimasti indietro” (La Repubblica, 23.1.17). Di qui la raccomandazione agli Stati di rispondere a quattro sfide: “Migliori opportunità di vita per i giovani, buon equilibrio tra vita e lavoro, sfruttare le professionalità di tutti, e non lasciare nessuno indietro”.
Non si capisce bene se i componenti della Commissione abbiano guardato bene in faccia i loro effettivi referenti politici prima di emettere giudizi simili, e comunque se il loro problema sia l’eccessiva ingenuità o un’opportuna malafede. E’ più probabile che giochi il suo ruolo il timore del malumore sociale, e delle sue imprevedibili conseguenze. La preoccupazione che anima i rappresentanti politici delle “democrazie” borghesi è essenzialmente questa, mentre alcuni di loro cavalcano abilmente l’onda, proponendo i loro rimedi: protezionismo, chiusura delle frontiere, caccia agli immigrati…tutte ricette già a suo tempo disastrosamente sperimentate, ma in periodi di crisi ad alta probabilità di consenso.
Per quanto la Commissione europea si sforzi a produrre terapie di buon senso, ma oggettivamente ipotetiche, qualsiasi buona intenzione annegherebbe nel mare del capitalismo mondiale, che del resto ha già i suoi eroi, e non sono i più adatti a preoccuparsi di “non lasciare nessuno indietro”. Il rapporto redatto quest’anno da Oxfam (una delle più antiche società di beneficienza, con sede a Londra) in vista del vertice di Davos, ha constatato che le disuguaglianze sono in aumento in tutto il mondo, e che gli otto super miliardari censiti dalla rivista americana Forbes detengono da soli la stessa ricchezza di metà della popolazione terrestre. Si tratta di un dato in linea con quanto è possibile rilevare sia in Europa che nel nostro Paese, dove i sette primi miliardari italiani possiedono quanto il 30% dei più poveri, forse un po’ meno della media mondiale, ma con una tendenza identica. Il dato ancora più impressionante è che in tutto il mondo il reddito ormai sale solo per gli strati più alti della popolazione: “Mentre un tempo l’aumento della produttività si traduceva in un aumento salariale, oggi, e da tempo, non è più così. Il legame tra crescita e benessere è svanito. La ricchezza si ferma solo ai piani alti.” (La Repubblica, 16.1.17). E infatti, a quanto pare, il 2016 ha fruttato 237 miliardi ai più ricchi, soprattutto per le prestazioni spettacolari che hanno riservato sui mercati finanziari i titoli più a rischio.
Negli ultimi dieci anni la povertà sembra essersi allargata a macchia d’olio. In Italia più ancora che nel resto d’Europa, considerando che in dieci anni è più che raddoppiata, raggiungendo un incremento del 141%. Nelle famiglie operaie il tasso di immiserimento è salito dal 3,9 all’11,7%, e si tratta dei nuclei familiari più giovani e numerosi. Se oltre quattro milioni e mezzo di persone vivono nell’indigenza assoluta e in nemmeno otto anni sono quasi raddoppiate, mentre la legislazione sul lavoro si accanisce con sistematica ostinazione sui loro redditi, l’esortazione a “non lasciare nessuno indietro” suona come una beffa. Anche perché la Commissione europea non spiega come convincere anche il meno spilorcio dei capitalisti a rinunciare anche solo a un minimo incremento dei suoi profitti per favorire “un buon equilibrio tra vita e lavoro”…
Aemme